Ci sono giocatori che parlano come se stessero leggendo un comunicato stampa. E poi c’è Flavio Cobolli. A Wimbledon, dopo una solida vittoria al primo turno, il romano classe 2002 si presenta in conferenza con il solito sorriso da ragazzo di cuore e la battuta pronta: “Dodici teste di serie su trentadue a casa? Meglio così, gli spogliatoi delle teste di serie sono vuoti ed è una figata”. Uno che in un ambiente dove la tensione si taglia col coltello, riesce ancora a ridere. Di sé, degli altri, e anche del fatto che stanotte ha dormito due ore per il caldo londinese: “Ho aperto il frigo per prendere un po’ di fresco”.
Dietro l’aria scanzonata, però, si intravede il lavoro duro, i progressi, la consapevolezza di chi inizia a sentire che questo circuito non è più un sogno da rincorrere, ma un posto in cui può restare. Wimbledon, l’erba, il rispetto degli altri, il rapporto con Zverev e gli allenamenti con Sinner e Alcaraz: c’è un piccolo mondo in costruzione, e Flavio sembra sapere benissimo dove vuole andare.
L’intervista comincia con una battuta che vale un intero profilo psicologico: “Dodici teste di serie su trentadue a casa? Meglio così, gli spogliatoi delle teste di serie sono vuoti ed è una figata”. Frase che detta da un altro suonerebbe quasi intrisa di superbia, ma che nel tono scanzonato di Cobolli è invece il manifesto di chi si sta godendo il momento, consapevole che lo status è ancora da guadagnare, ma anche che il gap non è più siderale. Soprattutto, è la frase di uno che da qualche mese sente di appartenere a questo livello.
Poi il racconto tragicomico della notte insonne pre-match, tra caldo anomalo londinese, sudore, posizioni contorte nel letto e l’ultima trovata: “Stanotte ho dormito pochissimo per il caldo. Sudavo e cambiavo ogni venti minuti posizione, poi ho dovuto aprire il frigo per prendere un po’ di fresco. Ho dormito due o tre ore”. Si ride, ma dietro c’è la sincerità di chi non si costruisce un personaggio: non si è sentito al top fisicamente, ma in campo non si è lamentato, ha lottato e ha vinto. Più tennis, meno alibi.
Il match l’ha portato a casa contro un avversario “imprevedibile”, di quelli che non regalano il ritmo su cui costruire le trame. “Forse non era il suo miglior livello – dice Flavio – ma io ho giocato bene. È difficile giocare con chi ti toglie tempo, serve bene e non resta negli scambi. Ho servito bene e questo mi ha aiutato a restare concentrato e in partita”. Una lettura tecnica e lucida, che mostra quanto il romano stia maturando anche nella gestione tattica del match.
Cobolli non si nasconde: “Wimbledon è un torneo che mi dà gioia, ma l’erba rimane la mia superficie meno preferita”. Eppure, nell’erba di Church Road, qualcosa sembra averlo stregato. “È un buon punto di partenza. Bisogna servire in modo diverso, adeguarsi al campo, e credo di averlo fatto bene. Vedo i progressi e questo mi rende felice. E poi sono qui con la mia famiglia, ed è bellissimo”.
Nel 2025 è arrivata la prima grande svolta della carriera: la vittoria nel 500 di Amburgo. “Dopo quel torneo la mia vita è cambiata. Mi sento più consapevole. Diventare testa di serie cambia tutto: ti guardano in maniera diversa, hai un altro rapporto anche con i più grandi”. Da lì, una sorta di “upgrade sociale” nel tour: “Mi prendono in giro, mi coccolano. Io ho rispetto per tutti e ricevo rispetto. È un bell’equilibrio”.
Tra quelli con cui il rapporto è più stretto, non ci sono solo gli italiani. “Zverev, ad esempio, è venuto a cena con noi. Ci ha dato consigli, ha passato del tempo con me. È stato bello”. Racconti che confermano quanto Cobolli sia riuscito a crearsi un’immagine genuina nel circuito, tra sorrisi, voglia di migliorare e quella naturalezza che spesso manca nel tennis dei protocolli.
Un altro aspetto che lo rende così riconoscibile è la sua attività social, ironica e scanzonata. “Mi diverto, e alla gente piace. Faccio da admin per l’ATP, è un bel modo di comunicare”. Flavio è uno dei pochi che riesce a stare su Instagram senza sembrare uno che ha pagato un social media manager milanese per curare la pagina.
E poi c’è la voglia di crescere, scegliendo con cura i compagni di allenamento: “Se posso scegliere, mi alleno con i migliori: Sinner, Alcaraz, Draper. Da loro si impara”.
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Autor: Carlo Galati