Non solo il singolare. Andrea Vavassori è uno dei più grandi promotori del doppio. Membro del ‘Player Council’ in rappresentanza dei primi 25 giocatori al mondo nella disciplina a coppie, il 29enne torinese ha a cuore lo sviluppo del doppio nel mondo del tennis. Dopo un inizio di stagione scoppiettante, con tanto di titoli ad Adelaide e Rotterdam e la finale all’Australian Open, ‘Wave’ e il suo fedele compagno, Simone Bolelli, hanno avuto qualche difficoltà nelle ultime settimane. Ciononostante, l’obiettivo è quello di tornare più carichi che mai al Masters 1000 di Madrid, sperando che il campione del misto a Indian Wells abbia recuperato appieno dall’infortunio rimediato nell’ultimo match giocato (e perso) a Montecarlo contro Rohan Bopanna e Ben Shelton, di cui si è discusso parecchio in questi giorni.
In un’intervista a fanpage.it l’attuale numero 6 al mondo in doppio ha fatto un excursus su vari temi interessanti: dall’inizio della carriera alla vita da tennista professionista, fino alle dinamiche della specialità da lui più giocata e arrivando anche al rapporto con altri tennisti. Innanzitutto, Vavassori ha spiegato quanto il suo tragitto verso il successo non sia stato così immediato come per tanti altri. Il merito va sicuramente alla sua dedizione, ma anche alla famiglia che lo ha sempre supportato. “A me ha aiutato tantissimo. Ho fatto un percorso molto normale rispetto ad altri. Quand’ero piccolino non ero un talento, non ero sicuro di sfondare. Mi sono fatto la mia gavetta con i tornei regionali. Non ho fatto un’attività junior sostenuta perché andavo al liceo. La mia famiglia mi è stata molto vicino, anche i soldi da investire non erano tantissimi perché mio padre era maestro di tennis e faceva un lavoro part-time. I primi anni sono stati tosti, ma è stato un bel percorso. Adesso, arrivato a questo punto, con questa classifica, me lo godo anche di più”.
L’attenzione si è poi spostata verso il cuore, l’essenza del doppio, una specialità che sta sempre dentro al ‘barattolo tennis’, ma che con il singolo non ha poi molto a che fare. “La cosa più bella del doppio è che in uno sport fortemente solitario c’è la possibilità di condividere un percorso con una persona che può diventare un grande amico. Prima di tutto, è importante costruire un rapporto di amicizia col proprio compagno. Una programmazione insieme di un anno è lunga, anche perché l’obiettivo è quello di entrare alle Finals insieme, dato che si gioca sulla Race”.
Una race che al momento li vede in quarta posizione. Andrea Vavassori e Simone Bolelli. Insieme come un duo affiatato che, oltre ad avere un ottimo rapporto, ha oramai stampato bene in testa le peculiarità della disciplina e gli aspetti più importanti da tenere in considerazione. “Ho avuto la fortuna di incontrare Simone e conoscerlo meglio. Siamo diventati molto amici. Giocare insieme, vincere e perdere insieme è una bella cosa. Il singolo non ti dà questo, perché vinci da solo. Poi è un gioco diverso e devi avere altre peculiarità rispetto al singolo. Ormai il doppio è molto focalizzato su servizio, risposta e gioco di volo. È anche molto analisi, perché devi studiare schemi e avversari quasi più che nel singolo. Lì c’è un rivale su cui puoi imporre il tuo gioco, mentre nel doppio è importante conoscere punti forti e deboli di tutti. Per esempio, sul punto secco è importante sapere dove devi servire: due o tre punti possono cambiare l’esito di intere partite e per questo devi farti trovare preparato”.
In quando specialità di coppia, nonostante la simbiosi tennistica sia data per assodata tra i primi tandem mondiali, è inevitabile che ognuno avverta e reagisca alle situazioni in modo differente. L’importante è accettare e supportare l’altro qualunque cosa accada. “Ho imparato a dar peso a quello che posso gestire io, senza farmi il sangue amaro su cose che non posso cambiare. Quando gioco con Simone è normale che ci siano partite in cui gioco meglio io e altre in cui gioca meglio lui e dove o io o lui facciamo la differenza. L’importante è far sentire il proprio sostegno e dare sempre la giusta carica. La cosa bella della nostra partnership è che non ci sono mai state litigate o screzi: abbiamo sempre gioito delle vittorie, prendendo in maniera giusta le sconfitte, e ne abbiamo prese anche di pesanti. Bisogna sapere accettare e continuare a lavorare per migliorare insieme senza fermarsi mai ai risultati, ma focalizzandosi sul percorso”.
A differenza di qualche decennio fa, i doppisti si dedicano ora alla specialità in maniera esclusiva. I singolaristi, tranne alcune rare eccezioni, sono costruiti per performare al massimo senza i corridoi e sparando pallate da fondo campo. Anche se… “Ci sono singolaristi che si adattano bene al doppio, come Jannik,che serve, risponde benissimo e da fondo è il più solido di tutti, oltre che forte mentalmente. Ma non sono tutti così i top 10: penso a Jannik e Alcaraz per il doppio, ma altri singolaristi lo giocano male. Sembra quasi strano che singolaristi forti non siano in grado di replicare in doppio”.
La vita di un tennista professionista comporta molti obblighi, tra cui quello di rimanere sempre sull’attenti a causa dei famigerati controlli antidoping inaspettati che obbligano ogni giocatore a rendersi rintracciabile per un’ora al giorno, in caso appunto di un test. “Ho un aneddoto simpatico, perché mi sono spostato in una casa nuova a novembre e non ho ancora il campanello. Nel programma per l’antidoping ho chiesto che mi chiamino in caso di controllo. Ho scoperto stamane che posso farlo solo negli ultimi cinque minuti dell’ora che tu inserisci per la visita. Questo signore bussava a più riprese e io ero in camera da letto. Siccome stanno facendo dei lavori in casa pensavo stessero martellando. Mi sono alzato per andare in bagno e quando ho aperto la porta avevo già fatto la pipi. Quindi ho dovuto bere due tè, acqua e lui ha dovuto aspettare. Era un signore molto gentile e ci ho messo un’ora e mezza per fare tutto, tra esame del sangue e urine”.
Interrogato sul rapporto con Carlos Alcaraz, Vavassori ha speso buone parole sul 21enne murciano, sfidato due volte in singolare (a Buenos Aires nel 2024 e a Rotterdam nel 2025, due sconfitte per ‘Wave’). “Carlos è uno di quelli che mi piace di più tra i top del circuito. Lo conosco dai tempi in cui giocava i Challenger, quando lui ha iniziato, e in un paio di occasioni abbiamo approfondito la conoscenza. Ho avuto la possibilità di sfidarlo ed è una persona molto positiva e solare, con un grande team dietro. Per come lo vedo io, che faccio sempre attenzione a salutare, lui saluta sempre tutti quando arriva al circolo. Sono quelle piccole cose che fanno piacere, rendono l’idea della semplicità e grandezza di una persona”.
Spazio poi alla situazione che riguarda il numero 1 al mondo, Jannik Sinner, difeso sin da subito dal torinese, il quale non si è risparmiato dal commentare in generale le dichiarazioni di alcuni tennisti poco informati sulla vicenda. “Alla fine, il tennis è uno sport fortemente individuale e ognuno pensa a sé stesso. È brutto da dire, ma se uno come Jannik sta fuori dal circuito, agli altri sta bene. È così. Molti hanno detto delle cose pensando a questo. Non voglio fare polemica, a me faceva solo piacere stare dalla sua parte e fare sentire il mio sostegno. Penso che lui si sia dimostrato in molte occasioni una persona super positiva. E anche verso di noi ha fatto dei gesti che mi hanno fatto molto piacere. Volevo restituirgli qualcosa e garantirgli il mio sostegno”.
Inevitabile, in seguito, la domanda proprio sull’altoatesino, compagno di nazionale, e sul rapporto che si è instaurato tra i due. “La stampa vorrebbe che fossimo tutti super amici. C’è grande rispetto tra di noi, ma con Jannik non sono cresciuto insieme e dal punto di vista personale non posso dire di essere un amico stretto. L’ho conosciuto bene in Davis, ma ho più rapporto di amicizia con le persone con cui sono cresciuto. Ho grande rispetto per lui e penso che quella sia una delle cose più importanti. Mi ha impressionato in Davis come atleta e come persona, è un bell’esempio per le generazioni che crescono in Italia. È quello che tutti vogliamo lasciare, un bell’esempio per chi ci guarda”.
Infine, forse il ricordo più bello della carriera: il titolo di campioni del mondo in Coppa Davis. Dopo il primo, storico successo del 2023 – dove però Vavassori non era presente nel team finale di Malaga -, la replica del 2024 ha segnato emotivamente il torinese, questa volta presente in squadra. “Porto nel cuore il momento in cui Jannik stava giocando l’ultimo game contro Griekspoor. Era 7-6 5-2 e ha iniziato il turno in battuta. C’era silenzio in panchina e io mi sono messo a piangere pensando al percorso che ho fatto per arrivare lì: mi è passato tutto davanti. Poi ho guardato mio padre, anche lui era in lacrime. È stato come dire: ‘Ce l’abbiamo fatta‘. Pure con Simone Bolelli ci siamo messi un braccio dietro le spalle e abbiamo pianto. È stato un bel momento. C’era un gran clima tra di noi, con tutti: Muso, Jannik e anche gli altri. Una bella storia”.
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Autor: Andrea Binotto