Novak Djokovic è pronto a raggiungere quota 81 apparizioni nel tabellone principale dei tornei del Grande Slam: il traguardo arriverà al prossimo Australian Open, cui ha partecipato per la prima volta nel lontano 2005. All’alba dei 38 anni, il serbo eguaglierà il primato assoluto di Roger Federer con Feliciano Lopez preparandosi a superarlo a Parigi la primavera prossima, confermandosi come l’ultimo grande interprete di un’epoca capace di attraversare il tempo senza perdere centralità.
Come detto, il suo viaggio nei tornei major è iniziato nel 2005, proprio a Melbourne. Allora era un ragazzo proveniente dalle qualificazioni che, al primo turno, raccolse appena tre giochi contro il numero 4 del mondo Marat Safin, futuro vincitore di quell’edizione del torneo. Da quel debutto quasi anonimo, Djokovic ha attraversato oltre due decenni di tennis, cambiamenti generazionali, superfici e rivoluzioni tecniche, restando costantemente competitivo su ogni campo. Le 81 presenze non sono soltanto un dato statistico, ma il segno di una presenza continua nelle settimane che contano di più, quando la pressione è al massimo e il margine di errore è al minimo.
Tennista camaleonte
In un circuito sempre più rapido, fisico ed impegnativo, questo traguardo rafforza l’idea di Djokovic come figura fuori dal tempo, capace di adattarsi a contesti diversi e a rivali sempre nuovi. La sua longevità non è frutto del caso, ma di una preparazione maniacale, di una gestione stupefacente del corpo e di una resistenza mentale che gli ha permesso di rinnovarsi stagione dopo stagione.
L’ottantunesima apparizione Slam diventa così il simbolo di una carriera che va oltre i titoli e i record: continuità e resistenza come tratti distintivi di una carriera che ha attraversato epoche diverse senza perdere centralità. In un mondo e in un tennis che cambia rapidamente volti e protagonisti, Djokovic resta un punto fermo. Per questo, oggi più che mai, può essere definito l’ultimo immortale.
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