Kafelnikov: “Sinner e Alcaraz fanno il vuoto. Io 160 match l’anno senza lamentarmi”

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Kafelnikov: “Sinner e Alcaraz fanno il vuoto. Io 160 match l’anno senza lamentarmi”

Evgenij Aleksandrovic Kafelnikov appartiene a quella generazione di campioni che hanno contribuito a traghettare il tennis dalla fine dei tempi di Sampras al dominio dei Fab Four. Primo tennista russo della storia a raggiungere il vertice della classifica ATP, è stato numero uno del mondo per 16 settimane nel 1999, due volte campione Slam – Roland Garros ’96 e Australian Open ’99 – e oro olimpico a Sydney 2000, il russo ha sempre incarnato l’idea del professionista instancabile. Oggi, a 51 anni, è co-proprietario del torneo di Mosca e continua a vivere lo sport con passione assoluta.

Intervistato da Stefano Semeraro per La Stampa, Kafelnikov ha offerto una lettura diretta del tennis di oggi, tra nostalgie, complimenti e osservazioni pungenti.

Russia, Italia e un tennis che cambia volto

Kafelnikov parte dalla situazione politica-sportiva russa e dalla speranza di riportare Mosca nel circuito: «La speranza è che torni la normalità e si possa giocare ovunque come un tempo. La Russia è un grande mercato per il tennis, l’Atp lo sa, ne stiamo parlando con Gaudenzi». Sul seguito del tennis nel suo Paese non ha dubbi: «I circoli sono pieni, è popolare almeno quanto calcio e hockey». Poi l’Italia, che considera una terra oggi privilegiata: «Il tennis è in grande salute, specie da voi. Con Sinner che vince Slam e lotta per il numero 1 è uno degli sport più popolari». E di Sinner parla ancora, accostandolo ad Alcaraz e ai Big Three: «Jannik e Carlos sono quello che sono grazie a Federer, Nadal e Djokovic. Hanno fatto un passo avanti quando quei grandi si sono ritirati». Ma l’equilibrio dei tornei, secondo Kafelnikov, oggi manca: «Sono più forti di tutti gli altri. Ai miei tempi il più forte era Sampras, ma doveva sempre sudarsi i suoi successi». La ragione, dice, è nell’appiattimento del gioco moderno: «Non c’è più varietà di stili. Le superfici si assomigliano tutte, nemmeno l’erba è più erba. Nessuno fa serve&volley: non ci sono più i Becker e gli Edberg. Non mi piace». La sua proposta è netta: «Rimetterei le superfici velocissime. E l’erba vera, quella in cui se non andavi a rete perdevi il punto».

Campioni, ricordi e un Tour che “era più duro, ma più divertente”

Sulle ATP Finals promuove pienamente Torino: «È il posto giusto: avete due italiani nei primi 8, è facile riempire lo stadio». Come alternativa immagina soltanto «la Spagna, con Alcaraz».
Riconosce che in passato anche Mosca avrebbe avuto le carte in regola: «Quando Medvedev e Rublev erano tra i primi otto sarebbe stato bellissimo».

Il tema del carico di lavoro accende il suo spirito combattivo: «Giocavo più di tutti. Anche 160 match l’anno fra singolo e doppio». E affonda: «Non so perché oggi si lamentino. Fanno molti soldi e una bella vita. Ai miei tempi finivi la Coppa Davis a dicembre, una settimana di stacco e subito a prepararsi per l’Australia». La fatica per lui non esisteva: «Stare sul Tour era elettrizzante. Volevo vincere tornei e Slam, non ho mai avuto problemi a giocare tanto».

L’Italia ha un posto speciale nei ricordi di Kafelnikov: «Il mio primo grande titolo l’ho vinto a Milano nel ’95 battendo Becker. Ho giocato tante volte a Roma e in Davis contro Gaudenzi, Furlan e Nargiso».

Su un ipotetico confronto con Sinner è diplomatico ma competitivo: «Indoor sarei stato un avversario difficile per lui. O lui per me». Alcaraz lo convince: «Non è uno spagnolo tipico, sa variare e adattarsi. Questo lo rende molto competitivo».

Il futuro dei russi e il giudizio su Musetti

Sul fronte russo è lucido: «Medvedev ha avuto le sue chance: ha vinto uno Slam ed è stato numero 1. Può risalire, ma credo che il meglio lo abbia già dato». Per Rublev la finestra si restringe: «Ha 29 anni, deve sbrigarsi se vuole combinare qualcosa di grande».

Chiusura dedicata all’Italia e a Lorenzo Musetti: «Mi piace molto, ha un rovescio a una mano e un gioco tipico italiano. È entrato nei primi 10 e se crede di poterci restare ci riuscirà, perché ha il gioco giusto. È tutta questione di fiducia».

Una sintesi perfetta del pensiero di Kafelnikov, per il quale talento e convinzione restano le vere chiavi del tennis, ieri come oggi.

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