Flavio Cobolli: “Vorrei vivere ogni giorno le emozioni della Davis. Io e mio padre litighiamo spesso”

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Flavio Cobolli: “Vorrei vivere ogni giorno le emozioni della Davis. Io e mio padre litighiamo spesso”

Di Silvia Frigeni

La nuova fama di Flavio Cobolli dopo le vittorie in Coppa Davis si misura anche così: con un invito a “Che tempo che fa” assieme al capitano Filippo Volandri. Un programma che porta bene, scherza Fabio Fazio, ricordandogli che Sinner ha dato a lui la sua prima intervista nel 2019. 

Tra le domande a Cobolli ci sono quelle sul suo tifo per la Roma. Una passione che si trasmette in famiglia: “Vado ancora allo stadio coi miei nonni. Siamo cresciuti così… quando sono nato, mio padre è venuto all’ospedale con la maglia di Totti. Ha sempre detto che doveva essere la prima cosa che vedevo.” 
Oltre alla Roma, Stefano Cobolli ha trasmesso al figlio l’amore per i film di Christian De Sica, che è ospite in trasmissione. Flavio ci scherza su: “Sono un po’ nervoso a rimanere qui, perché ci sono tanti idoli. Oggi mi sono comprato la maglietta di Saint Barth di Vacanze di Natale“.

Il rapporto con il padre-allenatore 

Non è sempre facile mantenere un buon rapporto con un padre che è anche il tuo allenatore. Stando a Cobolli: “È un rapporto difficile ma ci stiamo abituando. Ovviamente litighiamo molto spesso, perché abbiamo lo stesso carattere, però credo che sia la persona che vuole il mio bene più di tutti. Ma i nostri litigi rimangono sul campo da tennis. Quando torniamo a casa, non pensiamo più a quello che è successo“.

Un padre allenatore vuole dire anche non essere abituato a ricevere troppi complimenti. Quando Fazio gli fa notare che Cobolli sr., dopo la finale contro Munar, ha detto per la prima volta “Mio figlio è un campione, Cobolli jr. ribatte subito: “Però questa cosa io l’ho scoperta l’altro ieri! A me non l’ha detta“.

A un certo punto, Cobolli si alza in piedi per mostrare il nuovo tatuaggio: una Coppa Davis stilizzata poco sopra la caviglia sinistra. L’euforia della vittoria finale, dopo quella che ha definito la settimana più bella della sua vita, gli fa sperare di vivere ancora giornate del genere: “Giocare la Coppa Davis è stata un’esperienza incredibile. Io ancora oggi quando ho un attimo di tempo vado sul telefono e riguardo i video, perché sono emozioni che vorresti vivere ogni giorno”. 

La semifinale Cobolli-Bergs 

Davanti al video dell’estenuante tie-break del terzo set contro Zizou Bergs, in semifinale, Volandri sottolinea l’impresa di Cobolli: “Ha giocato contro un giocatore contro cui aveva perso l’anno scorso in Davis, sempre tre set. Flavio salva sette match point, il terzo tie-break più lungo della storia della Davis, e vince la partita al settimo match point. Sono stati quattordici match point al cardiopalma. Io lavoro tanto su me stesso, cerco di trasmettere energia positiva, però a un certo punto non sapevo se ridere, piangere, disperarmi…”.

Da parte sua, Cobolli spiega qual è l’atteggiamento che lo ha aiutato a vincere la partita: “Quando sei in campo non ti rendi conto di quel che ti succede, giochi, e basta. Io ho puntato su me stesso e mi è andata bene. A volte devi un po’ fingere, perché è importante quello che l’avversario vede in te: questo me l’ha spiegato mio padre. Se ti vede giù, sa che è il momento in cui ti può attaccare. Ho provato a non farmi vedere mai giù da Bergs, e credo sia stato il segreto per vincere la partita”. 

E riguardando il servizio con cui ha chiuso il tie, commenta: “Meno male che c’erano Berrettini e Sonego che mi hanno detto di andare al centro, perché se no io sarei andato a uscire tutta la vita”. 

Il lavoro di Volandri coi ragazzi della Davis 

Vincere tre Coppa Davis di fila è la conferma che il tennis italiano sta seguendo la strada giusta, come nota Volandri riepilogando quello che ha funzionato negli ultimi anni: “Un cambio di direzione, una modernità che è arrivata, una federazione che ha investito tanto nel settore tecnico e che devo ringraziare, e una generazione oltre che di grandi campioni di bravi ragazzi“.

Una buona parte delle vittorie in Davis si deve allo spirito di squadra che Volandri ha cercato di instillare fin da subito nei suoi giocatori: “Ho la fortuna di aver lavorato con questi ragazzi fin da quando erano giovani, da quando avevano quindici-sedici anni, perché io faccio il direttore del settore tecnico maschile della Federazione. Proviamo a dargli questo senso d’appartenenza alla squadra fin da subito: li facciamo stare assieme, facciamo sì che gli allenatori si incontrino tra di loro. Abbiamo fatto da collante e questo ha funzionato, perché poi vedi gli allenatori che si consultano, i giocatori che passano molto tempo assieme… A ogni Davis cerco di fare un debrief finale. Quest’anno ho ringraziato Matteo Berrettini, ma anche Sonego, che non ha giocato, ma che si è sgolato per sostenerci. Soprattutto lui e Matteo hanno fatto un lavoro straordinario con Flavio, per sostenerlo“.

A domanda sul perché abbia pianto per questa Coppa Davis e non per le altre, Volandri risponde: “Perché questa è stata diversa. È stata un po’ come la prima, che dopo 47 anni ha avuto un sapore particolare. Abbiamo lavorato tanto dietro le quinte, abbiamo preparato i match in ogni singolo particolare, non c’è mai stato niente di scontato. È stata forse la più intima di tutte e tre“.

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