E’ stata pubblicata sul canale Youtube ‘Piers Morgan Uncensored’, del giornalista Piers Morgan, la versione integrale dell’inetervista a Novak Djokovic di cui vi avevamo fornito qualche anticipazione. I punti salienti dell’intervista (commenti sul caso clostebol di Sinner e concezione pubblica della sua controversia legata alla questione vaccini) li potete trovare sull’articolo qui sopra linkato, ma l’intervista contiene numerosi aspetti interessanti (nonostante la discutibilità dell’intervistatore). Ha infatti offerto uno sguardo inedito e approfondito su molti aspetti della vita e della carriera del fuoriclasse serbo. In oltre un’ora di conversazione, Djokovic ha parlato a cuore aperto del caso Covid e della sua posizione sui vaccini, del dibattito sul più grande di tutti i tempi, del confronto con la nuova generazione di tennisti guidata da Carlos Alcaraz e Jannik Sinner, ma anche della sua infanzia tra le bombe, della famiglia e di come vede la propria eredità sportiva e umana.
Morgan ha aperto l’intervista con un poco sorprendente mea culpa. Il giornalista britannico, noto per le sue posizioni spesso critiche, ha chiesto scusa a Djokovic per averlo attaccato duramente durante la vicenda del visto e del vaccino anti-Covid in Australia. A inizio 2022, Djokovic allora numero uno del mondo era stato espulso dall’Australia alla vigilia dell’Australian Open per non aver rispettato l’obbligo vaccinale imposto agli ingressi nel Paese, nonostante avesse ottenuto inizialmente un’esenzione medica grazie a una recente guarigione dal Covid. Morgan all’epoca lo aveva definito un cattivo esempio e aveva usato parole molto dure nei suoi confronti.
Nell’intervista, Piers Morgan ha ammesso di aver giudicato frettolosamente Djokovic basandosi sulle informazioni del momento e sull’emotività del contesto pandemico. Il giornalista ha spiegato di aver cambiato prospettiva quando è emerso che il vaccino non impediva la trasmissione del virus: a quel punto, secondo Morgan, la scelta di vaccinarsi doveva considerarsi una decisione personale, e Djokovic non meritava il linciaggio mediatico per aver rivendicato quella libertà. “Quando ho capito che anche i vaccinati potevano contagiare, la tua posizione è diventata comprensibile. Sono stato troppo censorio”, ha riconosciuto Morgan, porgendo pubblicamente le sue scuse per i toni usati.
Djokovic ha accolto con rispetto e sollievo l’ammissione di Morgan. Il campione ha ribadito la sua posizione sui vaccini, spesso fraintesa dai media: “Non sono mai stato un sostenitore anti-vax, né un paladino pro-vax. Ho sempre difeso la libertà di scelta personale”, ha spiegato Novak, aggiungendo che nel suo caso specifico, da atleta attento alla salute, già guarito due volte dal Covid e con anticorpi, riteneva di non rappresentare una minaccia per nessuno. Djokovic ha sottolineato di non aver mai voluto schierarsi ideologicamente, ma di essere stato ugualmente etichettato in modo semplicistico “bianco o nero” durante quella vicenda. Col senno di poi, concorda che la sua espulsione dall’Australia fu una decisione politica, presa per non scatenare proteste popolari, più che una conseguenza di una reale violazione (il serbo aveva presentato documentazione ritenuta valida inizialmente). Pur senza polemiche, Djokovic ammette che quell’episodio sarà una macchia indelebile nella percezione di alcuni.
Archiviato il capitolo Covid, Morgan ha affrontato con Djokovic il tema del GOAT, il più grande di tutti i tempi. Il giornalista britannico non ha nascosto la propria opinione, ribadendo di considerare Djokovic “indiscutibilmente il miglior tennista della storia”. Di fronte a questo elogio, Djokovic ha mantenuto il consueto profilo basso: non si proclama il GOAT, ritenendo che non spetti a lui autoincensarsi. “Sarebbe irrispettoso verso le generazioni passate che hanno spianato la strada a me, Roger, Rafa e agli altri”, ha commentato. Novak ha sottolineato quanto sia difficile comparare epoche diverse: “Il tennis negli ultimi 50 anni è cambiato tantissimo: racchette, superfici, preparazione atletica, tecnologie… Ogni era ha i suoi campioni e i suoi parametri”.
Uno dei passaggi più interessanti dell’intervista riguarda il cambio della guardia in atto nel tennis maschile. “Com’è passare dall’essere il dominatore per tanti anni all’essere dominato da questi ragazzi?” ha chiesto provocatoriamente Morgan. Djokovic ha sorriso, riconoscendo che il momento era inevitabile: “Sapevo che prima o poi sarebbe successo. È la naturale evoluzione dello sport: arrivano nuove rivalità dopo il nostro lungo regno”.
Il serbo ha speso parole di ammirazione per i due giovani rivali. Ha definito la sfida Alcaraz-Sinner “un bene per il tennis”, ricordando la finale epica del Roland Garros di quest’anno. Djokovic, che era stato eliminato in semifinale da Sinner, ha confessato di non aver voluto guardare quel match inizialmente: “Ero tornato a casa dopo la sconfitta e volevo staccare la spina dal tennis per qualche giorno. Ma mia moglie Jelena e mio figlio volevano a tutti i costi vedere la finale”. Alla fine Nole ha ceduto e si è ritrovato anche lui incollato alla TV, prima con occhio critico da collega (“Analizzavo tatticamente cosa si stavano facendo in campo a vicenda”, racconta) poi sempre più rapito dallo spettacolo. “Mi sono ritrovato ad ammirarli – ammette –. Mi è capitato poche volte in carriera di provare stupore guardando altri giocare, forse solo in alcuni storici Federer-Nadal. Alcaraz e Sinner a Parigi hanno espresso un livello astronomico”.
Questa ammirazione non toglie però a Djokovic la voglia di misurarsi ancora con loro. Morgan gli ha domandato se, assistendo a simili partite, una parte di lui pensi di non poter competere più a quei livelli. Nole è stato sincero: “So che al loro massimo oggi questi ragazzi sono probabilmente migliori… è la realtà”. Allo stesso tempo, il campione ha precisato che la fiducia in sé stesso quando scende in campo non è cambiata: “Finché sarò attivo, ogni volta che entro sul terreno di gioco credo di poter vincere contro chiunque. Non importa chi ho dall’altra parte della rete, io entro con la convinzione di essere il migliore e di meritare la vittoria. È un’attitudine che devo continuare a coltivare”. Djokovic ha ammesso che con l’avanzare dell’età sono aumentati i dubbi sulla possibilità di aggiudicarsi altri Slam, ma il suo obiettivo è mantenersi integro fisicamente per avere ancora chance: “Il mio primo pensiero è tenere il corpo in forma. Se sto bene, so di poter ancora dire la mia nei grandi tornei”.
Nel rievocare il confronto con i più giovani, Djokovic ha ricordato come lui stesso abbia vissuto periodi di forma eccezionale. Morgan gli ha chiesto quale fase della carriera rivivrebbe, se potesse. Novak non ha avuto dubbi nell’indicare i famosi 18 mesi tra inizio 2015 e metà 2016, probabilmente l’apice assoluto della sua parabola sportiva. “In quel periodo mi sentivo invincibile, in uno stato di grazia totale”, ha raccontato. I numeri gli danno ragione: tra l’Australian Open 2015 e il Roland Garros 2016 Djokovic vinse 5 titoli dello Slam su 6 (mancando solo l’edizione parigina del 2015, in finale con Wawrinka) e divenne il primo tennista dopo 47 anni a detenere contemporaneamente tutti e quattro i trofei del Grande Slam. “È come cavalcare un’onda gigantesca che non finisce mai. Qualsiasi cosa facessi in campo, tutto mi riusciva alla perfezione”, ricorda Novak, descrivendo quella sensazione di “zona” mentale che gli atleti inseguono per tutta la carriera.
Quello stato di onnipotenza sportiva, però, ebbe anche conseguenze. Djokovic ammette che l’ego può ingigantirsi quando si vince sempre: “Ti convinci di poter giocare ogni settimana, di non stancarti mai, di essere imbattibile… ma non è così”. Dopo il trionfo a Parigi 2016 (completando il Career Grand Slam), Novak ha vissuto un brusco risveglio. Nei mesi successivi il suo rendimento calò, complice anche un problema al gomito che lui inizialmente sottovalutò. “Continuavo a giocare con il dolore, rimandando il momento di fermarmi. È un circolo vizioso per gli atleti di vertice: il corpo ti manda segnali, tu li ignori per inseguire ancora un titolo, e alla fine il conto arriva salato”. Il conto, nel caso di Djokovic, fu un’operazione al gomito a inizio 2018 e quasi un anno lontano dalle gare.
C’è un momento in particolare che Novak rievoca come punto di rottura: Wimbledon 2016. “Avevo appena vinto il Roland Garros realizzando il sogno di una vita. Tutti si aspettavano che continuassi a vincere facile anche a Londra, ma qualcosa in me si era spento”, confessa. Arrivato al terzo turno contro l’americano Sam Querrey, Djokovic si ritrovò sotto di due set. Una serie di interruzioni per pioggia rallentò la partita. “Durante la seconda pausa, invece di parlare con il mio team, chiesi di restare da solo. Mi sono seduto nello spogliatoio e ho fissato il muro per 20 minuti. Per la prima volta in carriera mi sentivo completamente svuotato”. Djokovic quella partita la perse, salutando Wimbledon insolitamente presto. Subito dopo decise di prendersi una pausa dall’attività agonistica. “Mi ero detto per anni che non avrei mai provato quella mancanza di motivazione di cui parlavano altri campioni. E invece è successo anche a me, tutto d’un tratto.” Quell’anno perse anche la prima posizione mondiale a favore di Andy Murray. “Onestamente, in quel momento non mi importava neanche del numero uno. Quello che volevo era ritrovare l’amore e la passione per il gioco, perché li avevo smarriti”. Fu necessario del tempo lontano dai riflettori e poi la dolorosa decisione dell’intervento chirurgico, ma Djokovic riuscì a riemergere. “È il ciclo naturale della vita: dopo l’onda altissima c’è il crollo, poi si risale. Ho imparato tanto da quel periodo, soprattutto ad ascoltare di più il mio corpo e a bilanciare le energie mentali”, ha riflettuto il serbo.
Da dove nasce quella feroce forza mentale che ha caratterizzato Djokovic negli anni? Morgan ha accennato ai parallelismi tra Nole e altri fuoriclasse come Cristiano Ronaldo, Michael Jordan o Tiger Woods. Djokovic crede che gran parte della sua tempra derivi dalle durezze affrontate nell’infanzia. Nato nel 1987, Novak è cresciuto a Belgrado negli anni ’90, un periodo segnato prima dalle guerre jugoslave e poi dal bombardamento NATO sulla Serbia nel 1999. “Da bambino ho passato mesi con le sirene antiaeree che suonavano e gli aerei che sganciavano bombe sulla città. Restavamo nascosti nei rifugi e ogni rumore era terrore puro”, ha ricordato. Morgan gli ha chiesto se è vero che ancora oggi Djokovic ha difficoltà a sopportare il rumore dei fuochi d’artificio a causa di quei traumi: “Purtroppo sì. Mi riportano immediatamente a quelle notti di guerra”, ha ammesso il campione.
Tuttavia, Djokovic riconosce che la pressione nello sport è comunque reale e va gestita. Anche lui, come tutti, ha avuto momenti in cui le gambe tremavano e la mente vacillava nei momenti decisivi. La differenza sta nel come si reagisce alle sconfitte. A tal proposito Djokovic ha menzionato il suo idolo Michael Jordan: “La gente ricorda i tiri decisivi che Jordan ha segnato, ma non parla mai dei migliaia che ha sbagliato. Jordan diceva: Ho fallito, fallito, fallito… ed ecco perché alla fine ho vinto”. Djokovic sposa in pieno questa filosofia: ogni sconfitta è stata un insegnamento per lui. “All’inizio della mia carriera credevo che mostrare emozioni fosse segno di debolezza. Gli uomini, specialmente nello sport, spesso pensano di dover essere sempre forti, di non poter piangere o permettersi cedimenti, altrimenti gli avversari ti sbranano”, racconta Novak. “Ma non si possono sopprimere le emozioni per sempre: se le nascondi sotto al tappeto, prima o poi ti presentano il conto, sotto forma di blocchi mentali o problemi fisici”. Col tempo Djokovic ha imparato ad accettare la propria vulnerabilità: ha capito che in campo non scende “il robot Djokovic”, ma l’uomo Novak con tutto il suo bagaglio di pensieri, gioie e preoccupazioni extra-tennis. “E va bene così. Siamo esseri umani, non macchine”, ha detto.
Un altro tema toccato nell’intervista è la vita fuori dal campo di Djokovic, divisa tra la dimensione privata e quella di personaggio pubblico. Novak ha parlato con affetto della moglie Jelena, conosciuta sui banchi di scuola e con lui dai tempi dell’adolescenza. “È praticamente l’unica relazione seria che abbia mai avuto”, rivela il campione, sposato con Jelena dal 2014 e padre di due bambini. Proprio la paternità sta avendo un impatto sulla gestione della fase finale della sua carriera. Djokovic ammette che, ora che i figli iniziano a crescere (Stefan ha 11 anni, Tara 7), è più difficile di un tempo stare lontano da casa: “Da ragazzi si è egoisti, inseguire la carriera viene prima di tutto. Da genitore invece hai il cuore diviso: quando sono in tournée per tornei importanti, una parte di me vorrebbe essere sugli spalti di scuola a vedere la recita o la partita di calcio di mio figlio”. Questo conflitto interiore è nuovo per Djokovic, che sta cercando di bilanciare l’istinto del campione con il desiderio di essere un padre presente. “Non voglio che i miei figli crescano ricordandomi solo tramite la TV”, ha detto con sincerità.
Parlando di famiglia e principi, Djokovic ha rivelato un curioso retroscena legato alle sponsorizzazioni. Nonostante i guadagni stratosferici accumulati in carriera, Novak si considera poco interessato ai soldi in sé. “Il denaro è importante perché ti dà sicurezza e ti permette di prenderti cura dei tuoi cari, ma non è mai stato la mia motivazione principale”, ha spiegato. A riprova di ciò, Djokovic ha confessato di aver rifiutato un contratto multimilionario con una nota marca di bevande gassate (chissà quale). “Non posso rappresentare qualcosa in cui non credo. Se io per primo non bevo quella bevanda e anzi preferisco evitare zuccheri e cose poco sane, come potrei promuoverla ai giovani solo per denaro?”, ha detto il serbo con fermezza. Un episodio che richiama il gesto del suo amico Cristiano Ronaldo, che agli Europei di calcio 2021 tolse una Coca cola dal tavolo in conferenza stampa invitando tutti a bere acqua. Djokovic ha applaudito quel gesto e sottolineato come per lui integrità e coerenza valgano più di qualsiasi assegno: “Ho sempre cercato di costruire un’immagine di me che rispecchiasse davvero i miei valori, anche a costo di rinunciare a qualche milione facile”.
A chiusura dell’intervista, Piers Morgan ha chiesto a Djokovic come vorrebbe essere ricordato quando appenderà la racchetta al chiodo. La risposta di Novak è stata toccante e rivelatrice della sua scala di valori. “Ho lavorato duramente tutta la vita per vincere trofei e battere record, e ne sono orgoglioso. Ma alla fine ciò che conta di più per me è un’altra cosa”, ha spiegato il serbo. Ha raccontato di aver partecipato di recente al funerale di un suo storico allenatore ed ex mentore, Niki Pilic (definito da Novak il suo “padre tennistico”). In quell’occasione Djokovic è rimasto colpito dal fatto che tutte le persone che parlavano di Pilic ricordassero l’uomo, il suo carattere, come aveva influenzato positivamente le loro vite – e non i suoi titoli o successi sportivi. “Mi sono reso conto che vorrei lo stesso per me”, ha confidato Novak. “Vorrei essere ricordato come un uomo che ha toccato il cuore delle persone”, ha detto.
È un pensiero che chiude idealmente il cerchio di tutta l’intervista: al di là delle polemiche, dei trionfi e delle sconfitte, ciò che rimane sono i valori, la crescita personale e i legami costruiti lungo il cammino. Novak Djokovic, che piaccia o no, ha scritto pagine indelebili nella storia del tennis.
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