L’Italia arriva alla finale di Coppa Davis contro la Spagna senza Jannik Sinner e Lorenzo Musetti, ma con un protagonista quasi inaspettato: Flavio Cobolli. Nella notte magica di Bologna, nella semifinale disputata contro il belga Zizou Bergs, il romano ha ribaltato una partita che sembrava oramai sfuggita, cancellando ben sette match point e regalando agli azzurri un’accesso insperato all’ultimo atto della competizione. L’esultanza iconica – a torso nudo, con tanto di maglietta strappata e di urlo liberatorio – ha trasformato la SuperTennis Arena in una sorta di catino impazzito. Flavio ce l’aveva fatta.
Sì, perché Cobolli è diventato il riferimento tecnico ed emotivo di un gruppo che – almeno sulla carta – sembrava indebolito dall’assenza dei suoi due uomini di punta. Quest’oggi, intorno alle 15, proverà a sublimare una stagione già notevole: i titoli di Bucarest e Amburgo, i quarti a Wimbledon, il primo successo con un top 10 conseguito in quel di Madrid contro Rune (ritiratosi dopo un set) e l’ingresso nei primi 25 del mondo (attualmente occupa la posizione numero 22 del ranking ATP) lo hanno consacrato come una delle nuove certezze del tennis italiano (e non solo).
Coppa Davis, Cobolli: “Penso di essere un lupo solitario”
Come raccontato qualche settimana fa a L’Équipe, però, il suo percorso sportivo non è nato sui campi da tennis. Già, perché il ventitreenne azzurro era un terzino destro nelle giovanili della Roma e il calcio era il centro della sua vita. “Mio padre era un tennista, quindi sono cresciuto con una racchetta in mano. Ho iniziato quando avevo appena due anni. Poi, la mia più grande passione era andare allo stadio a tifare per la Roma con tutta la famiglia, e ho iniziato a giocare a calcio a cinque anni, senza mai smettere fino ai 14”.
La scelta del tennis è arrivata quasi all’improvviso, pur non senza turbamenti. Intorno ai 16 anni, rivela di aver pensato: “Oh cavolo, Flavio, cosa stai facendo? Questa è la scelta sbagliata, cosa hai fatto? Posso tornare indietro e scegliere l’altra opzione?”. Ma col tempo il dubbio è svanito: “Ho scelto il tennis perché mi piace stare da solo; è anche una questione di personalità nella vita. Voglio dire, amo la mia ragazza, ma se posso stare da solo, sto bene con me stesso. Ho un buon rapporto con me stesso. Penso di essere un lupo solitario”.
Quella formazione “ibrida”, divisa tra calcio e tennis, oggi è un punto di forza. “Sono sicuro che sarebbe stato peggio di adesso. Avere due opzioni mi ha aiutato in tutto: nel movimento, nell’apprendimento, in tutto. Sono stato cresciuto in questo modo, mio fratello anche, e penso che sia anche la chiave per essere l’uomo e il giocatore che sono oggi”. E se Novak Djokovic e Fabio Fognini non trovavano spazio nei suoi weekend, il motivo era semplice: “Passavo interi weekend incollato alla Serie A. E alla fine mi addormentavo con una partita di tennis in TV; adoro addormentarmi davanti a una partita in TV”.
Flavio Cobolli arriva alla finale contro la Spagna nel miglior momento della sua carriera. Dopo una prestazione solida nei quarti e l’epica battaglia con Zizou Bergs in semifinale, è diventato il volto inatteso di un’Italia che, nonostante tutto, sogna il terzo titolo consecutivo. E se dovesse un’altra notte folle, o di quelle “magiche” cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini qualche anno fa, il “lupo solitario” descritto da L’Équipe ha già dimostrato di saperci convivere meglio di chiunque altro.
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