Bublik: “Sono costretto ad essere diverso più di quanto non voglia esserlo” 

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L’irriverenza, lo sprezzo della normalità di chi gioca a modo suo. Di chi interpreta la vita a modo suo. Negli anni la platea tennistica ha preso confidenza con Alexander Bublik, ha imparato a conoscerne pregi e difetti. E, perché no, apprezzarli. Il kazako non è un tennista come gli altri. Non può esserlo, sostiene lui stesso. Perché per fare partita pari con i top non basta l’arsenale di colpi ordinario, serve ben altro. Una follia ben congeniata, di chi si ribella alla prassi. È per questo che il pubblico ama così tanto Bublik.  

Nato in Russia, ma naturalizzato kazako, decide di cambiare passaporto nel 2016 adducendo responsabilità a una scarsa considerazione da parte della Federazione russa. 

Il suo palmares non è da primo della classe. Quattro titoli in undici finali, di cui Halle rimane il più importante. E anche negli Slam non è un habitué della seconda settimana. Quello che giocherà contro il numero 5 del mondo Jack Draper è solamente il secondo ottavo di finale in singolare dopo Wimbledon 2023 – in doppio invece ha giocato proprio a Parigi una finale in coppia con Golubev – e mai si è spinto oltre in un Major.  

Eppure i suoi match sono una calamita per le persone, che non mancano di sostenerlo.  

La gente si siede al proprio posto senza sapere cosa aspettarsi da una delle figure più controverse del circuito. Nel bene e nel male. La rimonta al secondo turno contro Alex De Minaur è la sintesi di tutto ciò che questo giocatore può essere. “Ero ancora addormentato. Alle 11 è troppo presto per meha puntualizzato in conferenza stampa dopo battuto la testa di serie numero 9.  

Il suo tennis imprevedibile e umorale gli ha regalato una carriera altrettanto scostante, anche se negli ultimi anni Bublik si era attestato in top 40 più o meno stabilmente. Nella scorsa stagione ha toccato quella che ad oggi rappresenta la sua vetta massima, ovvero la 17esima posizione del ranking ATP. Questo 2025, però, non ha portato al kazako quelle conferme, di cui forse neppure sente la necessità, a dire il vero.  E dopo cinque anni – salvo una piccola parentesi nel 2023 – tra febbraio e marzo ha salutato la soglia dei migliori 50 giocatori al mondo, scendendo addirittura alla posizione numero 82.  

Alexander si dimostra un personaggio non banale e sceglie di scendere di livello per ritrovare tennis e sensazioni positive. Si iscrive al Challenger di Torino e lo vince. La classifica non gli sorride ancora, ma quel titolo è stato il primo mattoncino, che fa da base per la risalita. Ad oggi ufficialmente è 62esimo, ma i risultati ottenuti al Roland Garros lo proiettano già in top 50, live ranking alla mano. Se dovesse battere Draper si riporterebbe a ridosso dei migliori 40. Non sarà semplice, considerato l’avversario, con cui è sotto per 2 a 1 nei precedenti, e anche il fatto che Bublik ai quarti in uno Slam non è mai arrivato. Sappiamo però quanto il kazako sia avvezzo alle sorprese, all’imprevedibile.  

In conferenza stampa dopo la vittoria in tre set sul portoghese Henrique Rocha, il direttore Ubaldo Scanagatta ha spinto con le sue domande Alexander verso una riflessione ontologica su se stesso e sul suo modo di portare avanti la sua carriera. Ne è emersa una interessante contrapposizione tra un “io” e un “loro”, in cui questi ultimi rappresentano lo standard, a cui Bublik non riesce a conformarsi fuori dal campo e non può conformarsi sul terreno di gioco.  

Sono loro a farmi sentire diverso. Con il mio team ci siamo sempre chiesti e anche con la mia famiglia se siamo noi i diversi o sono loro. Io la vedo così, perché penso di essere molto normale dal mio punto di vista. Sono il tipo di persona che puoi vedere divertirsi per strada a Parigi la sera prima di una partita. Non per fare follie, ma sono socievole. Posso anche saltare un allenamento se non me la sento e penso che sia piuttosto normale. Secondo me, sono super normale. Sono loro che mi fanno sentire diverso. Ora, sai, ho conversazioni con i top player – ho qualche vittoria contro giocatori della top 10 e ho vinto un paio di tornei – quindi li conosco bene. Sono amico della maggior parte dei top 10. Ma sono loro che mi fanno sentire diverso. Mi chiedo: ma non è normale? Se hai sonno, dormi. Voglio dire, siamo atleti d’élite. Qualcuno ha guadagnato 100 milioni, ha vinto 25 titoli e vuole ancora di più.
Per me, onestamente, questo non è normale, ma sono loro che mi fanno sentire così. Oggi lo sport mi fa sentire così, mi fa sentire diverso. Ma io non lo credo, perché penso di essere solo un ragazzo normale che ha iniziato a giocare a tennis e ce l’ha fatta. Poi devo affrontare le conversazioni e le conseguenze del fatto che forse non do abbastanza, non mi sacrifico abbastanza. Non lo so. Lo voglio davvero? Non ne sono sicuro. Ma penso di essere piuttosto normale, solo che mi fanno sentire diverso, ad essere sincero. Ed è divertente. Ho la mia visione su cosa voglio raggiungere in questo sport, cosa voglio dimostrare a me stesso, ciò di cui sono capace, se ho raggiunto il mio potenziale o no. Ma alla fine penso di essere davvero, davvero normale. Sono una persona molto normale fuori dal campo, che fa ridere la gente. Quando parlo con i top player, mi dicono: ‘Ma come hai fatto quello?‘ E io rispondo: ‘Cosa intendi? È normale. Ti svegli. Fai questo. Non hai voglia di allenarti. Vai comunque, ma magari non dai il 100% perché sei stanco’. Quindi è già parte di me, e l’ho accettato. Cerco di trovare il mio spazio tra questi atleti straordinari, tra quelli che performano al massimo, e cerco di guadagnarmi da vivere così.” 

La normalità perde, nelle parole di Bublik, ogni contorno di assolutezza. 

La riflessione vira poi anche sul suo modo di giocare e sul supporto dei fans di tutto il mondo. Ci si accorge come Alexander e il Bublik tennista siano esattamente e univocamente la medesima cosa.  

Vivo la mia vita con l’idea di evitare ogni tipo di conflitto. Non sono una persona che cerca lo scontro. Per poter battere i migliori tra i migliori — e ho dimostrato di esserne capace — devo trovare modi per superarli sul piano del gioco, perché loro mi supereranno sul piano fisico, correranno più di me. Io non sarò in grado di giocare per cinque ore e mezza contro Jack domani, o quando giocherò dopodomani. Devo quindi trovare un’altra strada. Fisicamente non sono in grado di reggere cinque ore di corsa. Probabilmente, crollerei lì, letteralmente. Non posso farlo. Non sono in grado di resistere sotto il sole australiano a 45 gradi. Nemmeno ci provo. Per me la salute viene prima del tennis. Quindi sì, anche in campo cerco sempre un modo per vincere, ma attraverso altri mezzi. Devo sempre trovare un modo per riuscire a battere quei giocatori con ciò che ho — e ho tanto, come varietà di colpi, scelta dei colpi.
A volte devo tentare colpi che sembrano folli, ma sono l’unica opzione che ho. Altrimenti succede quello che mi succedeva a 17 anni: cercavo di giocare come loro. Quando parlavo con Sascha o Andrey, loro mi dicevano: ‘Devi tirare tipo 15 rovesci di fila’. Io ne tiro tre, ragazzi. Cos’è ’sta storia dei 15? Non ce la faccio. Eppure ero un giocatore da top 20, e ora sono tornato nei primi 50 perché sono costretto — se voglio essere un giocatore vero, se voglio essere parte della conversazione tra i big, arrivare alla seconda settimana di uno Slam, vincere tornei importanti, essere un contendente in ogni torneo — devo fare le cose in modo diverso. Devo avere un approccio diverso, una mentalità diversa. Perché se gioco un semplice kick sul rovescio, mi arriva una risposta al 100%. E che dovrei fare? Non posso restare lì a palleggiare per ore. Quindi devo essere diverso. Sono più costretto ad esserlo che veramente desideroso di esserlo” 

La famosa profezia che si autoadempie, insomma. 

Beatrice Becattini 

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Autor: Pellegrino Dell’Anno