Big Ben Sinner non fa sconti a Shelton (Galati). Assalto finale (Crivelli). Sinner: “Le scelte giuste” (Ercoli). Sinner, piano finale (Piccardi). Sinner infinito (Semeraro). Sinner-Alcaraz, i carissimi nemici e l’eterna finale (Martucci). Alcaraz numero 1 alza il trofeo. “Significa tutto” (Cocchi)

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Big Ben Sinner non fa sconti a Shelton (Galati). Assalto finale (Crivelli). Sinner: “Le scelte giuste” (Ercoli). Sinner, piano finale (Piccardi). Sinner infinito (Semeraro). Sinner-Alcaraz, i carissimi nemici e l’eterna finale (Martucci). Alcaraz numero 1 alza il trofeo. “Significa tutto” (Cocchi)

Big Ben Sinner non fa sconti a Shelton (Carlo Galati, Libero)

Il terzo match del girone poteva sembrare, sulla carta, una passerella. Qualificazione già ottenuta, primo posto in cassaforte, pubblico di Torino caloroso, ma consapevole che il vero spettacolo sarebbe arrivato solo nel weekend. E invece Jannik Sinner ha deciso di metterci – ancora una volta – la sua impronta più nitida: quella del giocatore che non fa sconti, che vuole ritmo, che vuole crescere dentro ogni singolo colpo, a partire dal servizio. Con Ben Shelton, già eliminato ma mai domo, l’azzurro ha risposto con classe e intensità: 6-3 7-6(3), in un’ora e 34 minuti che raccontano più equilibrio di quanto il punteggio lasci intuire, ma anche la capacità del numero 2 del mondo di risolvere tutto quando il momento conta davvero. Shelton ha provato a imporsi col servizio, tirando bordate che in pochi al mondo sanno gestire. Sinner le ha prese quasi tutte, ha messo i piedi sulla riga, ha spostato l’americano nella diagonale dritto-rovescio mancino, e lo ha incastrato proprio lì dove Ben fatica di più. La seconda frazione è stata più spezzata, qualche esitazione e qualche rischio in più per Jannik, ma nei momenti chiave, leggasi tie-break, la mano è rimasta ferma: e a quel punto non c’è stata storia. La vittoria non cambia l’architettura del Gruppo Borg: Sinner primo, Shelton fuori, ma prepara il terreno alla semifinale di oggi con Alex De Minaur (intorno alle 14.30, diretta Sky Sport e in chiaro su Rai 2), avversario che conosce bene e che ha ritrovato smalto negli ultimi due giorni. In conferenza stampa, però, Sinner non si è limitato all’analisi tecnica. […] «Ognuno di noi ha avuto tre partite difficili», ha spiegato. «Giocare con Felix, Sasha o Ben – ha aggiunto – significa stare sempre lì: tutti servono molto bene e se prendi un break recuperare può essere complicato. Oggi Ben ha cambiato il suo modo di giocare e devi essere sempre pronto. I set li vinci su due o tre punti: devi essere lucido, focalizzato». Poi la parentesi Alcaraz, inevitabile dopo il sorpasso in vetta al ranking: «Sono felice per Carlos, anche se non super felice, non sarei onesto. Ha vinto otto tornei e due Slam, gioca bene ovunque e ha gestito la pressione alla grande. È un bravissimo ragazzo, lavora tanto. Per me è una motivazione: se dovessi scegliere un rivale, sceglierei lui perché se lo merita davvero». Sinner ha anche raccontato quanto sia migliorato nella lettura dei momenti decisivi: «Sto facendo le scelte giuste. Se con Sasha (Zverev ndr) non avessi fatto quei sette vincenti nel game cruciale, forse sarebbe finita diversamente. Prima o poi perderò, non sono una macchina, ma la motivazione resta sempre altissima».
CALENDARIO
Capitolo Coppa Davis, tema che gli sta particolarmente a cuore: «Con questo calendario è difficile avere ogni anno i migliori. Io vedrei bene una Davis distribuita su due anni, con semifinali e finale in grandi stadi, e partite in trasferta vere. Io non ho mai giocato la Davis “vera”, quella col pubblico completamente contro di te: credo sia quello lo spirito autentico. Così diventerebbe una competizione ancora più grande». Oggi lo attende De Minaur, carico e rinato dopo giornate difficili. Jannik lo sa, lo rispetta, ma non si nasconde, nonostante i precedenti dicano 12-0 per l’azzurro. «Io ho tanto da perdere, lui poco. Ci sarà tensione e pressione, certo; quello che cerco ogni giorno è di essere al 100%. Prima o poi perderò una partita, non sono una macchina». Intanto con questa sono 29 vittorie consecutive indoor e per la prima volta da quando sono nate le Finals nel 1970 è il primo giocatore a vincere le tre partite del girone senza perdere un set. E anche questa è storia.

Assalto finale (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Chiedetegli se sia felice: «Sì, sono contento per Carlos, si è meritato il numero uno: ha vinto otto tornei quest’anno, è stracompetitivo su tutte le superfici, è un bravissimo ragazzo e sta tenendo un livello altissimo. Ma se dicessi di essere super felice, quello no, sarebbe una bugia. E comunque è una grande motivazione per l’anno prossimo. Lavorerò di più». Il trofeo del primo della classe per il 2025 consegnato ad Alcaraz a Torino, nel giardino di casa Sinner, popolerà i giorni e le notti di Jannik da qui all’eternità, possiamo starne certi, stimolandolo ad attraversare il confine della sua grandezza per tendere alla perfezione e tornare lassù, a guardare tutti dall’alto. […] Ci sono le Atp Finals da rivincere, e la conferma avrebbe una portata psicologica dirompente, un messaggio di superiorità nell’anno dei due Slam a testa condivisi con lo spagnolo che andrebbe oltre gli aridi numeri di una classifica. L’ultima partita del round robin contro Shelton, inutile per le sorti del girone (Sinner già primo, l’americano già eliminato) serve soltanto a confermare il dominio nei confronti diretti (8-1, con 17 set di fila vinti dall’italiano) e il feeling con i campi indoor (ora la serie aperta è di 29 successi),oltre a consegnargli altri 200 punti comunque preziosi e a tenerlo in corsa per il premio extra in denaro destinato al vincitore imbattuto (4.300.000 euro). Ormai Jannik sembra viaggiare con il pilota automatico: 11 ace, 75% di prime in campo con l’81% di punti. E aggiungiamoci pure il 15° tie-break vinto tra veloce ed erba in questa stagione (i tre che ha perso fin qui, li ha giocati tutti sulla terra) e la semifinale raggiunta senza aver subito break , settimo di sempre a riuscirci dopo Lendl (1991), Ivanisevic e Becker (1992), Federer (2014), Djokovic (2018) e Zverev (2024). Soprattutto, in un torneo che raccoglie i migliori otto giocatori del mondo, i Maestri appunto, da otto partite (cinque un anno fa, tre quest’anno) Sinner non perde un set: «Significa che sto facendo le scelte giuste nei momenti giusti. Se con Zverev non avessi servito bene, avrei perso. Se nel tie-break con Shelton fossi andato sotto di un mini break, magari sarei andato in difficoltà. Prima o poi perderò una partita, non sono una macchina. Ma sono in semifinale, e mi rimetto sempre in gioco: ci arrivo con una buona energia e devo ringraziare il pubblico di Torino che mi sta dando un grande sostegno». Non sottovaluto mai i miei avversari, cerco di essere al 100% ogni giorno. Io ho tanto da perdere, lui ha poco da perdere. La pressione è su di me. Ci sarà tensione, ma resterò attento su quello che devo fare. Contro Fritz, Alex ha giocato una delle migliori partite della sua stagione. Certamente mi aspetto un match fisico, con scambi lunghi». Ma La Volpe Rossa , in questo momento, volteggia nell’iperspazio della consapevolezza e della fiducia in se stesso: «Stiamo lavorando tanto con il mio team sul servizio. Ho cercato di variare perché Shelton, soprattutto sulla mia seconda, è stato molto aggressivo. Sul 5-3 detie-break, ad esempio, ho variato la velocità ed è andata bene. Stiamo provando a fare le cose giuste e in questo periodo sembra che tutto funzioni a dovere. Mi aspetta un’altra sfida importante, cercherò di andare più avanti possibile in questo torneo perché giocare qui è sempre molto speciale». Il padrone di casa. Talismano Alle 14.30, Jannik incrocerà racchetta e sguardi con l’australiano De Minaur, il talismano prediletto: 12 vittorie in altrettanti confronti diretti, tre quest’anno, l’ultimo in semifinale a Vienna tre settimane fa. Senza scomodare vecchie battute, affrontare un rivale con cui le sfide sono così sbilanciate nasconderebbe sempre qualche insidia dal punto di vista mentale, se non si trattasse di Sinner: «La motivazione c’è sempre. Sono in semifinale nell’ultimo torneo dell’anno: direi che questa è una motivazione sufficiente. Credo basti questo.

Sinner: “Le scelte giuste” (Lorenzo Ercoli, Il Corriere dello Sport)

Avversari difficili, match duri e pochi punti
a fare davvero la differenza: sono i tre concetti cliché, ovviamente giusti, del Sinner post-partita. […]. E se negli ultimi due anni alle Finals nessuno è riuscito a portargli via nemmeno un set, la tendenza è ancor più chiara. Otto vittorie consecutive alle Nitto ATP Finals – tutte in due set – ventinove successi di fila indoor e ora il 12-0 nei precedenti con Alex de Minaur, suo avversario nella semifinale odierna alle ore 14 (diretta Rai 2e Sky Sport); non c’erano alternative sulla programmazione dato il match Aliassime-Zverev che ha deciso il girone in sessione serale. Niente giorno di riposo: Jannik torna in campo all’indomani del 6-3 7-6(3) inflitto a Ben Shelton. Già qualificato da primo, non ha concesso sconti: terza vittoria dopo quelle su Aliassime e Zverev, altri 200 punti messi in cassaforte in un torneo dove difende il titolo da imbattuto. E anche se l’incontro non spostava nulla nel girone, il pubblico non si è risparmiato: entusiasmo, calore e voglia di godersi i colpi del campione che ha fatto schizzare i prezzi alle stelle. Shelton per quanto ancora lontano dai picchi pre-infortunio, specialmente al servizio, ha comunque trovato il modo di allungare fino al tie-break del secondo set, ma li Jannik ha subito creato il solco. «Fino ad ora ho sempre fatto le scelte giuste nei momenti importanti. Ma se con Ben prendo un mini-break, o con Zverev non servo così bene, magari finisce diversamente. Prima o poi perderò, non sono una macchina. Però sono felice di essere qui in semifinale – le parole di Sinner, che ha poi detto la sua in vista della sfida con de Minaur. So che siamo 12-0 nei precedenti, ma un paio di volte mi è stato molto vicino. Lui dopo la sconfitta con Musetti era molto giù e poi in due giorni ha vinto un bel match con Fritz ed è cambiato tutto. Vedremo come andrà». E se nell’ultima sfida in semifinale a Vienna, Sinner si è imposto con un comodo 6-3 6-4, mai come in quella precedente a Pechino, de Minaur era riuscito a metterlo in difficoltà, senza fargli mai giocare la stessa palla e cercando ogni tipo di variazione. Eppure neanche quello bastò per negare il 6-3 4-6 6-2 all’azzurro. Di partita in partita, Alex sta provando a essere più aggressivo, ma sono ritmi sui quali Jannik spesso si trova a suo agio ed esprime il suo miglior tennis. Prima del match con Shelton, Sinner aveva incrociato nel tunnel Carlos Alcaraz, vestito di tutto punto dopo aver ricevuto il trofeo da numero 1 di fine stagione. L’azzurro con grande sportività ha elogiato il rivale: «In quel momento ero molto concentrato sul mio match. Sono felice per lui perché è un bravissimo ragazzo, ma ovviamente non super felice, quella sarebbe una bugia. Ma con 2 Slam, 8 titoli e la capacità di giocare a livello altissimo su ogni superficie direi che se lo è meritato. Ha gestito bene la pressione in tanti momenti dell’anno e per me è una motivazione in più». Jannik ha poi detto la sua anche su una possibile soluzione per il format di Coppa Davis, proponendo un torneo che si svolga nell’arco di due anni: «Ogni giocatore ha la sua opinione, per me un’opzione potrebbe essere giocarla su due anni. Il secondo anno metti le semifinali a inizio anno e la finale a fine stagione. lo non ho avuto la fortuna di giocare la vera Coppa Davis, quella dove magari giocavi trasferte in Brasile o in Argentina con il pubblico che tifa per la nazionale di casa. Noi a Bologna siamo fortunati, ma magari se si giocano partite come Australia-USA su campo neutro è diverso».

Sinner, piano finale (Gaia Piccardi, Il Corriere della Sera)

«Bravo». Gli allunga la manona per un cinque volante, Jannik diretto in campo per la sfida ininfluente con Ben Shelton e Carlos elegantissimo, reduce dalla consegna della coppa per aver chiuso la stagione in vetta al ranking. Non abituiamoci: lo status quo tra Sinner e Alcaraz è friabile come un grissino torinese. E se all’Australian Open di gennaio, alla ripresa delle ostilità, lo spagnolo sarà l’uomo da battere, è viaggiando a fari spenti nella notte che l’azzurro proverà a riprendersi il primato tra febbraio e aprile. Il piano è pronto. […]. È la vacanza che aspetta da luglio, quando si concesse qualche giorno in Sardegna con Laila, come ricompensa per aver espugnato l’erba di Wimbledon. Ha in mente un gioco di incastri: se anticipa il relax può partire prima per il ritiro off season a Dubai, fare il Natale a casa con la famiglia, ritagliarsi un’altra finestra di allenamento a Montecarlo a cavallo dell’anno nuovo, magari accettando l’invito a cena a Capodanno di Giovinazzi e Ciccone: l’anno scorso era l’unico single, non più. L’Australian Open 2026 comincerà una settimana più tardi: il tabellone principale scatta il 18 gennaio. Sinner ha già deciso che non giocherà tornei in preparazione: i barbecue organizzati dal padrone di casa, Darren Cahill, lo aiuteranno a prendere le abitudini del luogo e il fuso orario. È nell’arco dei 90 giorni in cui l’accordo con la Wada per le conseguenze del caso Clostebol l’aveva costretto ai box (9 febbraio-4 maggio 2025) che nel 2026 scatterà l’attacco al trono di Alcaraz. Immaginando un finale testa a testa a Melbourne, a Carlitos usciranno i 500 punti di Rotterdam e, dopo i Master 1000 americani, Harry Potter dovrà difendere il clamoroso swing sulla terra di questa stagione, prima che Jannik si trovi al cospetto delle sue responsabilità di campione di Wimbledon. Riprendersi il numero uno sarà uno degli obiettivi del 2026, insieme al varco dell’ultima colonna d’Ercole a livello Slam, il Roland Garros: a giugno, Jannik è stato a tre passi dal titolo di Parigi. Il «bravo» offerto ieri nella pancia dell’Inalpi Arena al carissimo nemico, è suonato come una minaccia. Lo ammette: «Sono felice per Carlos, se l’è meritato. Ma direi una bugia se dicessi che sono super felice. Se avessi potuto scegliere un numero 1, avrei scelto lui. Da parte mia c’è ancora più motivazione per l’anno prossimo: durante la preparazione faremo tanto lavoro». Le ottime percentuali al servizio anche nel match con Shelton, vinto in due set (6-3, 7-6) — 75% di prime, 81% di punti vinti sulla prima —, sottolineano la stabilizzazione verso l’alto del colpo di inizio gioco che gli era costato l’Open Usa. Ancora in doppia cifra gli ace (11), come con Zverev (13). Un altro segnale che il plafond è raggiunto. «Magari servissi sempre così…» ha sorriso Jannik ieri. Acquisita la media, si può cominciare a concentrarsi sui picchi di performance. Senza pretendere che Sinner diventi un Ivanisevic o un Sampras: «Non entro in campo con l’idea di fare tanti ace — spiega lui, sollecitato sul tema —, non sarebbe la mentalità giusta. Il servizio non è solo potenza: non sarei capace di battere a 220 all’ora per tutta la partita. C’è il kick, c’è il servizio al corpo, al centro, a uscire… Dipende dai momenti». Le variazioni che gli erano mancate a New York hanno irrorato di imprevedibilità il gioco del campione sul veloce indoor. Alle Finals, poi, la luce azzurrina del campo ha quasi un effetto ipnotico: «Senza vento e senza sole, ho sempre la stessa sensazione. E questo mi aiuta». La semifinale raggiunta senza perdere un set né concedere un break nella fase a gironi è sintomatica di una velocità di crociera troppo sostenuta, fin qui, per chiunque. E non si vede come oggi Alex De Minaur, sopravvissuto al taglio grazie a un game di vantaggio su Fritz, già sconfitto 12 volte su 12, possa sottrarsi a un destino già scritto. L’economia di un circuito Atp sempre più orientato verso il sintetico (i 2,5 miliardi di dollari di investimento del nuovo Master 1000 in Arabia, il decimo dal 2028, prevedono hard court) cospira a favore della grandezza di Jannik Sinner, lanciato verso una finale con Alcaraz e favorevole alla Davis ogni due anni. «Magari con semifinali a inizio stagione e finale alla fine. Così mi piacerebbe. Quella vera, purtroppo, non l’ho mai giocata». In squadra, uscito Musetti, entra Sonego. Ma c’è un lavoro da finire, qui a Torino

Sinner infinito (Stefano Semeraro, La Stampa)

Senza fine è solo il titolo di una canzone. Forse. «Prima o poi una partita la perdo, non sono una macchina», dice Jannik Sinner dopo aver sistemato nell’apposito contenitore – i canonici due set, 6-3 7-6 – anche l’aggressività a corrente alternata del giovane Ben Shelton. Percorso netto, 29ª partita vinta di fila sul veloce, come Federer fra il 2010 e il 2012. L’americano ci ha provato, aggredendo la Volpe su quello che in teoria è il suo punto debole, la seconda di servizio; peccato non sia riuscito poi a dare continuità all’assalto una volta partito lo scambio. «Non sono ancora il giocatore che voglio essere», riconosce amaro Ben il selvaggio. Sinner, invece, si trova esattamente dove voleva: in semifinale alle Atp Finals. Peccato solo per il primato di fine anno, che Alcaraz ha messo in cassaforte con il successo di giovedì sera contro Musetti, insieme con il coppone che gli è stato consegnato ieri in campo. «Se lo merita e sono felice per lui», dice il gentleman Jan. «Ecco, se dicessi che sono “super felice”, direi una bugia. Ma se devo scegliere un altro giocatore al mio posto, allora scelgo Carlos. Ha fatto una stagione incredibile, sta giocando un tennis incredibile. Io ero concentrato sul mio incontro, ma vederlo alzare la coppa è un gran bella motivazione per l’anno prossimo». Oggi, intanto, gli tocca Alex De Minaur, la vittima sinneriana per eccellenza: dodici incontri, dodici sconfitte, a partire dalla finale delle Next Gen 2019. Sembra un match no contest, una formalità, una sinecura. «Invece Jannik, come sempre, entrerà in campo pensando di poter perdere», sorride sapienziale Vincenzo Santopadre. «Ed è proprio questo che lo aiuta a vincere così tanto». […]. Perché l’abisso della sconfitta è in agguato ad ogni tornante. «Ogni partita fa storia a sé, e in una situazione simile io ho tutto da perdere, lui nulla», conferma il Rosso, sempre più idolatrato dal popolo torinese, e ieri ammirato dalle tribune anche dall’allenatore della Juventus Luciano Spalletti, che forse cercava di carpirgli la pozione segreta dell’imbattibilità. «Come faccio a trovare le motivazioni? È una semifinale, c’è un impianto pieno di gente: serve altro?», taglia corto Sinner, il grande semplificatore, abituato a compostare problemi con la stessa naturalezza con cui scoraggia gli avversari. Fra l’altro, ora che anche Musetti ha annunciato la rinuncia alla Final 8 di Coppa Davis della prossima settimana, Jannik sembra disposto ad argomentare sulla questione. Propone soluzioni. «Così, a fine stagione, la Davis non ha molto senso», attacca. «Cambiamola, giochiamola ogni due anni, con la fase iniziale nei primi mesi dell’anno e la finale in coda alla stagione. E soprattutto, con la vecchia formula. In casa e fuori. Noi siamo fortunati a disputarla a Bologna, in casa nostra, ma una sfida Usa-Australia, che senso ha non disputarla in uno dei due paesi?». La risposta rimbalza nel silenzio agghiacciante che abita certi palazzetti da quando si è voluto esiliare la Zuppiera in formati che non le si addicono. Quella di Jannik è stessa posizione di Andrea Gaudenzi, di Ben Shelton, di Musetti. Non si tratta di snaturare la Vecchia Signora, ma di concederle respiro. «Sfortunatamente non ho mai giocato la Davis con la vecchia formula – dice Jannik, giovane-vecchio non insensibile al fascino della tradizione. «Penso all’emozione di scendere in campo per l’Italia con l’Argentina, o con Brasile a casa loro». Emozioni, quelle sì, senza fine.

Sinner-Alcaraz, i carissimi nemici e l’eterna finale (Vincenzo Martucci, Il Messaggero)

Ancora tu, ancora Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, i dominatori degli ultimi due anni che si qualificano alle semifinali di oggi del Super8 di Torino aggiudicandosi 3 partite su 3 nei gironi. Jannik affronterà alle 14.30 de Minaur, Carlos incrocia in serata Auger-Aliassime. Sono talmente tanto più forti di tutti gli altri che il numero 3 del mondo, Alexander Zverev, è più vicino al numero 1000 (4.945 punti) piuttosto che al 2 (5.040) “Giannik”, come lo chiama Carlitos, che intanto fa i complimenti alla collega Emma Raducanu, con la quale ha forse una storia: «E una ragazza davvero speciale». E la differenza tra i due dominatori diventa lampante alle ATP Finals. Anche se il Profeta dai capelli rossi professa la solita umiltà dopo aver superato bum bum Shelton per l’ottava volta di fila con una striscia di 19 set (!): «Ha cambiato modo di giocare, ha servito molto bene, le partite si risolvono sempre per uno/due punti, finora sono rimasto molto focalizzato e lucido e se qui a Torino non perdo set da 8 partite significa che sto facendo le scelte giuste nei momenti giusti. Se con Sascha (Zverev) non servo come ho fatto perdo il set, se nel tie-break con Shelton vado sotto magari non lo vinco. La partita prima o poi la perdo, non sono una macchina».
ONESTÀ & TIMORI
[…]. E Alcaraz numero 1 a fine stagione? «Sono felice per lui. direi una bugia sé dicessi che sono super felice. Se lo merita, ha giocato una stagione incredibile con 2 Slam e 8 titoli. Sta giocando ad un livello altissimo su qualsiasi superficie con un tennis molto aggressivo anche qui. La pressione l’ha vissuta anche lui. E’ un bravissimo ragazzo, ha un grande team. Da parte mia c’è motivazione per l’anno prossimo, per la preparazione. Faremo tanto lavoro».
TANTO DA PERDERE
Dopo aver sussurrato a rete parole di incitamento a Shelton dal démodé servizio-volée, come ad Aliassime (serie recente: 4-0) e Zverev (5-0), racconta: «E’ stata una partita molto difficile. Sono partito bene, con un break che mi sono fatto bastare. Nel secondo set, Ben ha servito meglio. Sul 5-4 non sono riuscito a trasformare un match point ma ho cercato di rimanere concentrato, fondamentale contro giocatori che servono molto bene: appena ti breakkano è un casino recuperare». Come sorprendersi della presentazione di oggi contro de Minaur che ha superato 12 volte su 12, a partire dalla Next Gen Finals di Milano 2019 quando è esploso? «La partita contro Fritz è stata una delle sue migliori. lo ho tanto da perdere e lui poco. C’è pressione, tensione, cerco di stare molto attento a quello che devo fare». Come tifare per una Davis diversa dopo averla disertata – come lo stanchissimo Musetti sostituito da Sonego – la prossima settimana a Bologna: «Mi piacerebbe ogni due anni, magari con le semifinali a inizio anno e la finale alla fine». Davanti al 29° successo consecutivo indoor di Sinner e allo sprint per non cedere lo scettro a dispetto di 3 mesi di stop, il ritorno di Alcaraz sul trono dov’era salito la prima volta il 12 settembre 2022, sa di precarietà. «Per me significa tutto. All’inizio dell’anno, vedevo il numero 1 davvero lontano, con Jannik che vinceva quasi tutti i tornei. Poi ho potuto giocare un ottimo tennis in molti tornei di fila, negli ultimi 3/4, ho lottato testa a testa con lui e finalmente ce l’ho fatta». Parola di re.

Alcaraz numero 1 alza il trofeo. “Significa tutto” (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Quel trofeo tra le mani ha un peso diverso da quello che sempre a Torino aveva stretto tra le mani tre anni fa. Carlos Alcaraz aveva ancora il viso tondo di un bambinone, era diventato da poco il più giovane re del tennis nella storia, e in Piemonte era arrivato da infortunato, senza poter giocare il torneo dei Maestri. […] Ieri invece, il Carlos che ha posato con la sua squadra all’Inalpi Arena, era un giocatore, un ragazzo diverso e più maturo. Che ha eguagliato il suo miglior risultato di sempre alle Finals, e può sperare di strappare il titolo a Jannik Sinner. Rivalità L’arcirivale italiano fino a giovedì ha sperato (senza farlo notare) di poter fare il colpaccio e tornare in vetta, ma ieri si è complimentato. Un “cinque” lungo il corridoio subito dopo la premiazione di Carlos «Bravo», gli ha detto Jannik per ammettere, finalmente dopo il match: «Sono felice per lui ma, onestamente, se dicessi di essere super felice direi una bugia». Evviva, c’è un fuoco che arde e promette bene per la prossima stagione. Una rivalità che ha acceso anche Alcaraz: «Vedevo Jannik imbattibile tra la fine dello scorso anno e l’Australian Open. Il numero 1 mi sembrava così lontano…». Così lontano da mandarlo in crisi, tagliare le gambe alle sue certezze. Una crisi che, con la sconfitta a Miami all’esordio, ha addirittura minato le sue sicurezze sul futuro: «Si può dire che a Miami ho toccato il fondo – ha raccontato Alcaraz – dopo la vittoria a Montecarlo contro Musetti -, non sapevo nemmeno cosa dire in conferenza stampa e poi ho ricevuto moltissimo odio sui social». Parole dure, che danno il quadro di quanto sia stato complicato il Sunshine Double 2025, tra delusioni e dubbi, per lo spagnolo: «La sconfitta con Draper a Indian Wells mi ha fatto molto male, Miami e il ko con Goffin è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Bisognava fermarsi, sedersi e capire cosa stesse succedendo. Quel momento mi ha aiutato moltissimo. Dalle difficoltà si imparano tante cose». In quel momento. Carlos è diventato grande, ha iniziato un processo di maturazione che lo ha portato fino a qui: «Ho imparato a concentrarmi su ciò che è veramente importante. Spesso diamo peso a cose che forse non ne hanno realmente», raccontava in primavera. Una vacanza con la famiglia è stata rigenerante, qualche giorno in spiaggia con genitori e fratelli senza parlare di tennis, senza toccare racchetta. Dopo un po’ ha iniziato a sentire la mancanza della routine e dei tornei, anche degli allenamenti. Risalita Da quella vacanza in Messico è iniziata la costruzione di questo primato di fine stagione: «Significa tutto per me -ha detto dopo aver battuto Musetti giovedì sera, quando ha sigillato il primato —. Essere il numero 1 è l’obiettivo per cui lavoro duramente ogni giorno. Questo non è un percorso che si affronta da soli. Lo si vive con tutto il team, con la famiglia, con le persone più vicine che ti sostengono sempre nei momenti difficili e in quelli belli, e di questo sono davvero orgoglioso. E grazie anche all’amore della gente che sento in tutto il mondo», Torino compresa. Alcaraz, che quest’anno ha vinto otto titoli, tra cui due Slam (Roland Garros e Us Open) e tre Masters 1000, è il secondo giocatoredal 1973, quando l’Atp ha introdotto il ranking computerizzato, a concludere più di una stagione da numero 1 prima di compiere 23 anni, dopo Hewitt (2001-02). È solo l’inizio.

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