A Carlos piace ridere. Gli piace anche vincere, molto, ma non è il tipo che si attacca alle statistiche o che si esalta con paragoni. Eppure, domenica pomeriggio, dopo aver battuto in finale al Queen’s Jiri Lehecka 7-5 6-7 6-2, ha scritto un’altra riga nella storia del tennis spagnolo: è il primo connazionale dai tempi di Nadal nel 2008 a vincere Roland Garros e Queen’s nella stessa stagione. Non solo: è il terzo spagnolo dell’Era Open a conquistare quattro tornei su erba, come Rafa e Feliciano López, però con una differenza: Nadal ci riuscì a 29 anni, Feliciano Lopez a 37, Alcaraz a 22. “Non faccio troppo caso alle statistiche,” spiega. “Però quando me le dicono, ovviamente fa piacere. Essere insieme a Rafa e Feli, due grandi del nostro tennis, è speciale. A volte bisogna fermarsi e riflettere: ok, questo è davvero qualcosa di importante, ma non voglio fermarmi qui. Voglio continuare; per ora sono solo contento di come ho gestito questi giorni”.
Dalla terra all’erba, senza aspettative ma con talento
Passare dal rosso del Roland Garros al verde non impeccabile del Queen’s Club non è mai una passeggiata. Figurarsi per un ventiduenne che ama slittare col dritto e che, prima di questa settimana, aveva giocato meno di venti partite in carriera sull’erba, ma Carlos Alcaraz ha saputo superare l’ostacolo con la caratteristica tipica dei grandi campioni, trasformare l’adattamento in evoluzione.
“È davvero complicato cambiare superficie in così pochi giorni,” ha raccontato dopo la finale. “Sono arrivato qui con due soli allenamenti sull’erba, senza aspettative particolari. L’obiettivo era semplice: giocare due o tre match, sentirmi meglio in campo e capire dove migliorare”.
Obiettivo raggiunto, e forse anche superato. “La cosa che mi rende più orgoglioso non è tanto aver alzato il trofeo, ma il modo in cui sono cresciuto durante il torneo. Dal primo giorno a oggi, sono diventato un giocatore completamente diverso su erba”.
Con due titoli al Queen’s, una semifinale a Wimbledon nel 2023 e il trionfo dello scorso anno, Alcaraz ha già costruito un palmarès più che solido sull’erba. Ma quando gli si chiede se sia ormai la sua superficie preferita, Carlos resta fedele alla tradizione iberica: “Non posso dire che sia la mia preferita, credo che la terra lo sia ancora. Però mi sento davvero a casa quando gioco sull’erba. Ogni volta che entro in campo su questa superficie, provo sensazioni bellissime”.
Servizio ritrovato e una vacanza rigenerante
Il vero punto di svolta è arrivato dopo l’esordio, più complicato del previsto, contro Jaume Munar. Quel giorno, il servizio non funzionava e il volto di Carlos tradiva una certa frustrazione. “Dopo quel match ero deluso,” ha ammesso “ma ho deciso di lavorarci subito. Ho fatto qualche cambiamento nel movimento, qualcosa che già stavo provando da tempo anche su terra e cemento. Oggi credo sia stata la mia arma migliore”.
I numeri lo confermano: nella finale contro Lehecka ha messo a segno 14 ace, vincendo l’82% dei punti con la prima. “Ora capisco come si sentono Isner e Opelka quando servono così bene,” ha scherzato. “È stato un bel passo avanti, e spero di mantenerlo anche a Wimbledon”.
Dietro alla rinascita tecnica, c’è anche un ingrediente più “umano”: qualche giorno di svago a Ibiza. “Avevo bisogno di staccare un attimo, di non sentirmi un tennista per qualche giorno. Sono stato con gli amici, con la mia famiglia. Quei momenti mi hanno aiutato a tornare in campo più affamato, più energico”.
E al di là della battuta – “Non voglio dire che ho vinto grazie a Ibiza, ma quasi…”. Per ora niente ritorno sull’isola, però: “Resterò a Londra. Magari mi godo un po’ la città, poi qualche giorno di riposo prima di preparare Wimbledon come si deve”.
Il vero reset? Dopo Miami, non dopo Parigi
Ibiza è stata l’ultima pausa, ma non la sola. Un momento chiave nella stagione di Alcaraz è arrivato dopo l’eliminazione al primo turno di Miami. Un crollo inatteso, seguito da un’ondata di critiche per aver scelto di… non allenarsi subito. “Molti non hanno capito la mia scelta. Ma sapevo che avevo bisogno di staccare. Sono andato a Cancun con la mia famiglia, cinque o sei giorni senza racchetta, senza campo. Solo relax”.
Quel distacco lo ha aiutato a ritrovare la scintilla. “È lì che ho ritrovato il sorriso. Dopo quelle vacanze ho ricominciato a divertirmi in campo, a competere con gioia. E penso che sia stata quella la vera chiave. Ho imparato a conoscermi: so quando ho bisogno di fermarmi, di riflettere, di vivere”.
Wimbledon nel mirino: “Conta arrivarci con la mente libera”
Il successo al Queen’s, il secondo consecutivo dopo quello del 2024, non fa altro che aumentare le aspettative per Wimbledon, dove Alcaraz si presenterà da campione in carica. Ma lui non sembra avvertire il peso del titolo da difendere.
“Mi prenderò qualche giorno per recuperare,” ha spiegato. “Poi inizierò ad allenarmi con l’obiettivo di arrivare pronto. Non con le gambe appesantite, ma con la mente libera. È quello che conta davvero”.
Da settimana prossima, solo qualche km più a nord, su quei prati che tanto sanno di storia e tradizione, sarà lui l’uomo da battere, sia per palmares, sia in qualità di defending champion, lo sarà con il solito sorriso sulle labbra, la racchetta pronta e, magari, un pizzico di Ibiza ancora nello zaino.
O que achou dessa notícia? Deixe um comentário abaixo e/ou compartilhe em suas redes sociais. Assim conseguiremos tornar o tênis cada vez mais popular!
Esta notícia foi originalmente publicada em:
Fonte original
Autor: Carlo Galati