Andre Agassi: icona dello sport, icona di stile

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Andre Agassi è stato un’icona, non solo tennistica, ma di stile. Ha influenzato, sconvolto e rivoluzionato il modo di giocare e il modo in cui giocare; giocatore che ha fatto dell’anticipo il proprio marchio distintivo in campo, ne ha fatto valore anche fuori dal campo. Ha anticipato mode, o meglio le ha rese note al grande pubblico sdoganandole dalla sub cultura di strada nella quale sono nate, coma ad esempio la cultura Punk. Si può tranquillamente dire che c’è stato un pre e un post Agassi, visto che il ragazzo nato e cresciuto a di Las Vegas contribuì a portare nel tennis lo stile punk, scanzonato, inedito e sconvolgente tipico della fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90: nel 1990 raggiunse la finale degli US Open e il suo look in campo divenne immediatamente iconico: geometrie colorate e strampalate, con tanto di fascia in tono.

Erano gli anni di Margareth Tatcher e Ronald Reagan: Agassi incarnava sul campo la ribellione al sistema conformistico di quegli anni, spezzando tabù, cuori delle fan di tutto il mondo ma soprattutto le speranze di vittoria dei suoi avversari. Nemesi perfetta di Pete Sampras, big server e giocatore fisicamente diverso, ha trovato in lui l’avversario ideale da battere sul campo da gioco e non solo. Ma se sul campo il bilancio recita 20-14 in favore di Pistol Pete, fuori dal campo non c’era e non c’è partita: troppo il divario di personalità, intelligenza, presenza in favore di Agassi.

Ed è proprio ad un match con Pete Sampras, nello specifico la finale del 1995 all’Australian Open, che Andre Agassi fa riferimento, in un reel su Instagram dove parla dei sui suoi look e quali, secondo lui, sarebbero i migliori tre della sua storia. Al terzo posto troviamo l’outfit piratesco di quella edizione che rappresenta l’unica finale Slam vinta da Andre su Pete; pantaloni ampi, maglietta ampia, bandana in testa, orecchino sul lobo sinistro e pizzetto. Un antesignano in chiave tennistica di Jack Sparrow.

L’ex campione statunitense ha riservato il secondo posto nel suo personale podio alle famigerate denim shorts — i pantaloncini di jeans, acid wash, indossati durante lo US Open del 1988. “Il tennis non aveva ancora visto altro che completi in bianco, mi presentai con jeans e la maglia rigorosamente dentro i pantaloni,” ricorda Agassi, con un sorriso che sa di nostalgia e di piccola, grande rivoluzione. Quei jeans, realizzati su misura da Nike, erano più corti di quanto il pubblico fosse abituato a vedere. E forse anche più audaci di quanto il tennis fosse pronto ad accogliere.

Ma il vero colpo di teatro, quello che secondo Agassi è l’outifit preferito della sua carriera, è il completo sfoggiato al Roland Garros del 1990pantaloncini di jeans sopra leggings fluo color “hot lava”, canotta rosa stampata coordinata, fascia fucsia e un paio di Nike Air Tech Challenge 2 ai piedi. Un mix tra rock anni ’80 e sport da contatto, più vicino ai palchi di Prince che ai campi del Bois de Boulogne.
E infatti, non tutti apprezzarono. Anzi. “All’epoca il presidente della Federazione Francese stava pensando di introdurre un codice di abbigliamento,” racconta Agassi nel video. “Feci quello che avrebbe fatto chiunque: lo chiamai ‘bozo’ in conferenza stampa”. Parola che, nella stampa americana, ha lo stesso effetto di una racchetta sbattuta in campo: Bozo, un modo bonario e irriverente per definire un buffone. Non proprio un colpo diplomatico, insomma. Ma Agassi non si pentì subito, e anzi rincarò la dose: “Voglio la libertà di essere quello che voglio essere”.

Quel momento, apparentemente solo di colore, racconta invece molto di più. Era il 1990, ma nel tennis era ancora il tempo delle regole scritte e non scritte, delle divise immacolate, del rispetto che passava anche per la piega dei calzini. Agassi, invece, era già oltre. Il suo tennis era frontale, ribelle, istintivo, proprio come i suoi outfit. Quei pantaloncini non erano solo una scelta di stile, ma una dichiarazione di indipendenza.

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Autor: Carlo Galati