Vijay Amritraj lancia un messaggio chiaro all’ATP: la strategia attuale del calendario rischia di snaturare il tennis come sport globale. Secondo l’ex numero uno indiano e già presidente dell’ATP Players’ Council, la progressiva riduzione dei tornei di categoria 250 e la concentrazione degli eventi in Europa e negli Stati Uniti rappresentano un errore strutturale.
«Il tennis è uno sport mondiale e a volte se ne dimenticano», ha dichiarato Amritraj in un’intervista a CLAY, sottolineando come intere aree del pianeta siano oggi marginalizzate. «Abbiamo bisogno di tornei in Asia, Africa e Sud America. Questo non è uno sport europeo».
L’ex dirigente ATP ricorda come negli anni Settanta e Ottanta il circuito fosse realmente globale, con tornei regolari in India, Hong Kong, Singapore, Manila, Bangkok, Teheran, Seul, Osaka e Tokyo. «Oggi in Asia resta praticamente solo Tokyo con una licenza asiatica. È inaccettabile», afferma Amritraj, evidenziando come molte sedi storiche siano scomparse o finite sotto il controllo di grandi gruppi internazionali. [Dimentica ovviamente la Cina che ai tempi di Amritraj era inesistente a livello tennistico]
Amritraj si oppone in particolare all’idea di ridurre ulteriormente i tornei 250, considerati fondamentali per la diffusione del tennis nei mercati emergenti. «Non servono altri 500 in questo momento. Servono i 250. Sono questi tornei che permettono al tennis di rimanere uno sport davvero mondiale».
Pur riconoscendo la legittimità di alcuni upgrade, come quelli di Dallas o Monaco, l’ex presidente del Players’ Council critica una crescita che avviene “a costo di altri eventi”. «Se qualcuno vuole investire di più è giusto, ma non sacrificando intere regioni».
Il discorso si allarga poi al Sud America e all’Africa, anch’esse penalizzate dalle scelte dell’ATP. «Bogotá aveva un torneo, Caracas aveva un torneo, Lima dovrebbe averne uno. Dove sono finiti tutti questi eventi? C’è spazio per tutti».
Secondo Amritraj, il pubblico globale dimostra ogni anno quanto il tennis non sia confinato all’Occidente: «Sapete quanti indiani vanno a Wimbledon? Quanti asiatici al Roland Garros? Quanti sudamericani allo US Open? Il tennis è una comunità mondiale».
Un messaggio netto, quello dell’ex campione indiano, che chiama l’ATP a ripensare le proprie priorità: «Prima guardate al resto del mondo. Poi, eventualmente, potenziate i tornei. Altrimenti il tennis rischia di perdere la sua identità globale».
Intervista a Vijay Amritraj
– Aver condiviso gli spogliatoi con così tante leggende negli anni ’70 deve essere stato incredibile. Hai giocato contro Connors, McEnroe, Borg, Vilas… raccontaci quell’epoca d’oro.
– È stata la parte più bella del tennis. Mi sento sempre molto grato di aver giocato nel periodo di quei quattro e di molti altri: Raúl Ramirez, Dick Stockton, Brian Gottfried, Roscoe Tanner e tanti altri grandi campioni della mia epoca. C’era grande competizione, grandi partite, grande cameratismo. Ho ottenuto vittorie importanti, tutto insieme.
– Che sensazione è battere i migliori della tua epoca?
– Fantastica! Li ho battuti tutti e mi sono divertito tantissimo. L’unica cosa meno bella era che i premi in denaro non erano quelli di oggi (ride), ma questo non ha mai cambiato il nostro spirito competitivo.
– Che rapporti avete oggi?
– Borg e sua moglie sono venuti con me in India nel 2023. Hanno cambiato il biglietto di ritorno tre volte, non volevano andarsene! Abbiamo fatto due eventi incredibili, uno a Chennai e uno a Bangalore, parlando davanti a centinaia di persone. Le nostre partite a Wimbledon e allo US Open venivano mostrate su un maxi schermo. Lui era felicissimo.
– E Connors?
– Vive a circa un’ora e mezza da me, quindi ogni tanto giochiamo a golf insieme.
– Chi è più forte a golf, tu o Connors?
– Jimmy! Gioca sei giorni a settimana!
– Sei giorni a settimana sono tanti. Tu quanto giochi?
– A volte non gioco per quattro mesi, poi ricomincio quando torno a casa.
– E McEnroe e gli altri?
– Vedo McEnroe abbastanza spesso agli eventi. Purtroppo Vilas non sta molto bene.
– Sai qualcosa di lui?
– Sì, ma non sta bene. La famiglia si prende cura di lui.
– Pensi che Vilas meriti il riconoscimento ufficiale come numero uno del mondo?
– Sì! Assolutamente! Era il giocatore più duro che si potesse incontrare, il più preparato fisicamente del circuito. Vilas si allenava sette ore al giorno colpendo palline! Ha vinto 50 partite consecutive sulla terra battuta (nota della redazione: furono 53 nel 1977). Il “Toro selvaggio della Pampa” deve essere riconosciuto al 100% come numero uno del mondo.
– Qual è stata la migliore era del tennis?
– Anni ’70 e ’80. Sicuramente.
– Bellissima epoca, senza dubbio. Ma migliore di quella dei Big Three?
– Siamo stati privilegiati nel vedere Federer, Djokovic e Nadal per 20 anni, cosa che non avrei mai immaginato di vivere. Quello che hanno vinto insieme è irreale. Ma non scambierei mai l’aver giocato negli anni ’70 e ’80, anche se oggi i guadagni sono molto più alti.
– Immaginando che velocità e potenza siano le stesse, e mettendo Connors, Borg e McEnroe contro Federer, Nadal e Djokovic: chi vincerebbe?
– Non si dovrebbero mai confrontare le generazioni, perché ogni campione del passato sarebbe stato campione anche oggi. Però, per gioco, sarebbe interessante vedere McEnroe contro Nadal usando le racchette scambiate.
– Chi vincerebbe?
– Se scambiano le racchette, vincerebbe McEnroe!
– E Federer con la racchetta di Connors?
– Meglio Federer contro Borg. Sarebbe una sfida più equilibrata, ma punterei su Borg.
– Djokovic contro Connors?
– Connors. Le leggende degli anni ’70 e ’80 vincerebbero 3–0, con le racchette scambiate!
– Cosa pensi di Djokovic ancora competitivo nei tornei più importanti a 38 anni? E della sua influenza fuori dal campo?
– È una personalità, in modi diversi. È un grande. Quello che ha fatto per la Serbia è stato straordinario. È un gioiello per il suo Paese. Quello che ha ottenuto nel tennis maschile è incredibile. Il suo desiderio di vincere è straordinario, così come la sua etica del lavoro. Alla fine della carriera ce l’ha ancora.
– Parliamo del tennis in India. Con i cambiamenti del calendario ATP, ora non ci sono eventi oltre i Challenger. L’India merita un torneo ATP?
– Non solo l’India. Ogni capitale asiatica dovrebbe avere un torneo ATP. Negli anni ’70 e ’80 era così: India, Hong Kong, Singapore, Manila, Bangkok, Teheran, Seul, Osaka, Tokyo. Oggi non c’è nulla! Quando ero presidente dell’ATP abbiamo portato tornei a Dubai e Doha. Oggi in Asia resta solo Tokyo con una licenza asiatica. Servono tornei 250, non 500. Servono per mantenere il tennis uno sport globale. Questo non è uno sport europeo!
– Le istituzioni del tennis stanno sbagliando a privilegiare Europa e Stati Uniti?
– Al cento per cento. Capisco gli upgrade come Dallas o Monaco, ma non a scapito di altri tornei.
– Cosa diresti all’ATP?
– Guardate prima al resto del mondo. Ridurre i tornei 250 è un errore. Sud America, Africa, Asia devono avere eventi. Bogotá li aveva, Lima dovrebbe averne uno, Caracas lo aveva. C’è spazio per tutti.
– Davvero?
– Certo. È una comunità globale. Sapete quanti indiani vanno a Wimbledon? Quanti asiatici al Roland Garros? Quanti sudamericani allo US Open?
– Curiosità: hai partecipato anche a film iconici…
– Octopussy di James Bond e Star Trek IV – Rotta verso la Terra.
– Il tuo film di tennis preferito?
– Non ce n’è uno davvero bello.
– Hai visto Challengers?
– Sì, alla prima. Il film era discreto, nella media. Zendaya però è stata eccezionale.
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