Murray: “Prima della chiamata di Djokovic non pensavo di diventare un coach”

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In carriera si sono affrontati 36 volte. La storia del tennis li ha eletti Fab4 in un’era del tennis forse irripetibile, forse in procinto di esserla ripercorsa con altri protagonisti, su altri livelli. Perché in fondo, la storia non è altro che un ripetersi di eventi.

Gli infortuni, per esempio, sono stati quel fattore che hanno fatto sì che Andy Murray fosse guardato con occhi ancor più romantici dagli appassionati di tennis. Un Sir che aveva conquistato due edizioni di Wimbledon. Cappellino bianco e mano educata che gli consentiva di collocarsi a metà strada tra Federer e Nadal.

Un tripudio per la Gran Bretagna intera: Andy il fenomeno capace di portare un britannico per la prima volta nella storia a vincere a Wimbledon. Nel 2013 infila un secco 3-0 a Novak Djokovic: niente da eccepire da parte del serbo. Applausi per tutti e due i duellanti, applausi per il tennis che consacrava un altro “fenomeno”. Sarà n. 1 al mondo per 41 settimane, poi l’anca, il gomito.

Poi le storie si separano con lo scozzese costretto a un fine carriera d’urgenza e sofferente, mentre il serbo ha continuato a far la differenza e a conquistare tornei fino all’inizio della “new era”.

Eccoli qui nel 2025, uno accanto all’altro, uno coach dell’altro. I due sono sbarcati a Melbourne con la “mission impossible” di centrare lo Slam australiano n. 11 di Nole.

I due sono arrivati nella capitale australiana dove hanno eseguito diverse sessioni di allenamento insieme. La volontà dello scozzese è quello di migliorare la strategia del serbo e sa benissimo che sarà bersaglio anche lui delle schermaglie di Djokovic durante gli incontri: “Sono una di quelle persone che si spera possano comprendere bene momenti come quello. So che non è facile quando si è in campo, si respira tanto stress e a volte lui vuole solo sfogarsi col suo team e il suo box.  Ma dato per scontato che lui stia dando il massimo, il fatto che lui voglia esprimersi come meglio creda mi sta assolutamente bene”

Poi lo scozzese spiega come sono andate le cose e come si è arrivati a questo incredibile accordo lavorativo con Nole: “Mi stavo godendo il ritiro senza guardare nemmeno tanto tennis in tv. Giocare, competere o stare in campo non mi mancavano assolutamente. Giocavo a golf quando abbiamo iniziato a scambiarci i primi messaggi.  Ero alla buca n. 17 e il tizio con cui stavo giocando mi chiese se avevo dei progetti in mente. Niente, gli ho risposto, nulla. ‘Davvero non hai alcuna intenzione di provare ad allenare?’, ha poi aggiunto. E io gli ho detto che non avrei pensato a nulla di peggio da fare in quel momento“.

Ecco puntuale la chiamata del serboMezz’ora dopo ero in macchina e ho chiamato Djokovic e lui mi ha chiesto se fossi interessato a dargli una mano, una cosa che non mi sarei mai aspettato. Gli ho risposto che avrei dovuto parlarne con la famiglia e dopo un paio di giorni la cosa cominciò a sembrarmi fantastica”.

L’accordo è limitato all’Australian Open: “Per me è una grande esperienza, capirò meglio tante cose. L’ultima cosa che vorrei fare è entrare in questa squadra e cambiare ogni cosa”.

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Autor: Paolo Pinto