(Nota della redazione: nella giornata di ieri, mercoledì 8 gennaio, il mondo del tennis è stato scosso dalla notizia che nessuno avrebbe voluto leggere su Rino Tommasi. Ubaldo aveva avuto solo pochi minuti fra una corsa all’aeroporto, un primo volo e un secondo, per buttar giù malamente qualche riga. Qui le ha riprese, correggendo diverse imprecisioni dovute alla fretta e aggiungendo tanti ricordi e aneddoti. Per questo motivo abbiamo pubblicato questo articolo non completamente nuovo, ma assai diverso).
Che giorno triste, terribilmente triste per me e per i tanti che lo hanno conosciuto, immancabilmente apprezzandone le doti, la generosità, l’umanità, la straordinaria competenza. E’ morto un vero gigante del giornalismo, l’uomo che ha fatto conoscere (e appassionare) a tantissimi italiani i suoi sport più amati, tennis e boxe. Anche se poteva scrivere, parlare, raccontare di tutte le discipline sportive perchè Rino, mio Maestro inimitabile e mio secondo padre, era una vera enciclopedia vivente dello sport.
Stava male da anni, purtroppo. E il mio pensiero va a sua moglie Virginia che lo ha pazientemente assistito per tutto questo lunghissimo periodo e ai suoi figli adorati, Guido e Monica, della cui amicizia mi sono sempre sentito onorato. Quando dico che è stato per me un secondo padre, e non un solo Maestro – con la M maiuscola – non esagero, perchè il mio l’avevo perso 47 anni fa ed è grazie a Rino che ha avuto simpatia ed affetto per me, prima ancora che fiducia, se ho cominciato a scrivere di tennis, sulla sua rivista Tennis Club, prima di chiamarmi al suo fianco in tv, con Telecapodistria, Tele+, le reti Mediaset. Mi consentì subito di aprire una rubrica, “Finestra sulla seconda” perchè io scrivessi, almeno all’inizio, sull’attività dei tornei di seconda categoria, perchè d’estate quando non c’era più la scuola giocavo anche una dozzina di quei tornei…
“Non ti preoccupare se sbagli qualcosa – mi disse e mi avrebbe ripetuto poi mille volte sorridendo – ma se non stai attento ti chiudo la finestra!!”. Avrebbe potuto chiuderla già dopo il primo articolo perchè, scrivendo dei primi campionati indoor di prima categoria a Modena allo Zeta 2, gli combinai un guaio. All’ennesimo infortunio che si verificò in quel torneo, perchè la superficie sintetica si incollava alle suole delle scarpe e si registrarono diverse distorsioni alle caviglie e ritiri, misi in luce i difetti di quella superficie. Il problema fu che per l’appunto quella apparteneva a un brand che si promuoveva pubblicitariamente sulla rivista di Rino e la prima cosa che fecero fu quella di annullare il contratto annuale!!! Non pochi soldi per quell’epoca, primi anni Settanta.
Ma Rino non fece una piega. Mi disse anzi che avevo fatto il mio dovere di cronista e non mi rimproverò mai… “Non siamo venditori di tappeti – usava dire anche per le telecronache di match non belli invitandomi a dire sempre come stavano le cose e a non fare gli imbonitori – chi ci ascolta deve fidarsi di noi e di quello che diciamo“. Beh di lui si sono sempre fidati tutti. Perchè era la quintessenza della competenza.
Non so più quanti Slam abbiamo vissuto accanto, stesso hotel, stessi ristoranti, stessa cabina tv, stesse sale stampa in giro per il mondo. Credo più di 150 se io sono oggi vicino ai 180. E parlando dei soli Slam faccio un torto a 50 anni e altrettante edizioni dei tornei di Montecarlo, Roma, Masters ATP, Coppe Davis. Da lui, grande Maestro, ho imparato tante, tantissime cose, ma come avrebbe detto lui con il suo tipico humour… “Mai abbastanza!”. Fra i tanti insegnamenti quello di vivere con passione, serietà e impegno il nostro lavoro di giornalisti senza prendersi troppo sul serio. “Abbiamo la fortuna di fare un lavoro che ci piace, vediamo cose per le quali si sarebbe disposti a pagare e tanti pagano… chi mai dovrebbe lamentarsene?”
“Chi considera il giornalismo sportivo un giornalismo di serie B – replicava a Gianni che nelle costole dei suoi libri riprendeva spesso la frase di Calvino “Clerici, uno scrittore prestato allo sport” – non si rende conto che mentre con i lettori degli articoli di politica, costume, musica puoi permetterti di sbagliare qualcosa e pochi se ne accorgeranno, i lettori di articoli sportivi invece ne sanno quanto te e non ti perdonano il minimo errore. E’ difficile essere buoni giornalisti sportivi, perché ti rivolgi quasi sempre in massima parte a un pubblico altamente specializzato, non puoi permetterti di improvvisare. Anche i giovani devono avere studiato la storia dello sport di cui scrivono…” sosteneva Rino con cognizione di causa perché prima di essere assunto come praticante in un’agenzia di stampa, si era rinchiuso per diversi mesi in una biblioteca milanese per studiare la storia degli sport di cui si sarebbe poi dovuto occupare.
Amava condividere quel che sapeva, e tutto aveva fuorché la …cultura del buco giornalistico. Come se pensasse che la qualità di quel che sapeva e scriveva, e diceva, sarebbe emersa comunque. Se anche scriveva per la Gazzetta non pensava lontanamente a nascondere all’inviato del Corriere dello Sport quel che gli sembrava importante. Magari ciò non avrà entusiasmato i suoi direttori, ma lui era fatto così e non avrebbe accettato diversi input. Tanto più che quelle sue straordinarie qualità riusciva a farle emergere perfino quando in dead line con il giornale scriveva dagli Stati Uniti il pezzo mentre faceva un telecronaca. Seguiva il punteggio, parlava, commentava, e batteva sulla Olivetti prima, sul computer poi. Glielo ho visto fare innumerevoli volte. Anche perché lui la cabina tv, a differenza di Gianni che dopo un match non ne poteva più, non l’avrebbe mollata mai. Rino avrebbe commentato anche 5 match di fila se fosse stato per lui. Instancabile. E indimenticabile quel weekend di Wimbledon a mezzo torneo in cui sabato mattina lasciò Wimbledon per andare negli USA a raccontare un match di Tyson – non ricordo se a Las Vegas o Atlantic City – che durò un minuto e mezzo (Spinks?) – e il lunedì, volando con il Concorde, era di nuovo a Wimbledon a commentare gli ottavi di finale (“È la miglior giornata del torneo…” come per dire…”non la si può proprio perdere!”), fresco come una rosa pur avendo dormito pochissime ore: “Non ho dovuto spostare le ore sull’orologio, il fuso in 24 ore mi è rimasto quello della partenza”.
Il soprannome che mi dette… Trafelati, seppur meno straordinario di quel “Dottor Divago” affibbiato al suo gemello diverso Gianni Clerici, rendeva bene l’idea del mio perenne stato di agitazione, di ansia, sempre in affanno e col costante timore di non farcela a esser puntuale, mai rilassato. Anche perché con Gianni che fino all’ultimo non decideva mai se voleva commentare un match oppure un altro e a me spettava il compito delle interviste… andava a finire che arrivavo spesso al match che sarebbe toccato commentare al “Duo Primavera” (Roberto Lombardi e io), quando era già cominciato. Così Rino teneva il testimone della staffetta e quando arrivavo, trafelato appunto, me lo passava.
Ricordo poi che quando, ai tempi del primo TelePiù, con mezzi tecnologici di comunicazione che non erano quelli di oggi e dallo US Open si potevano trasmettere immagini soltanto dai campi principali – ma c’erano dei tennisti italiani su campi secondari – io venivo spedito su quelli a fare reportage audio in diretta… e Rino mi passava la linea presentandomi a suo modo, con frasi tipo… “Colleghiamoci con il nostro inviato a L’Avana!“, quando magari ero sul campo 6 per raccontare il match fra Caratti e Rostagno (l’americano – che ebbe due matchpoint con Becker che ne annullò uno con un net fortunosissimo l’anno che il torneo fu vinto dal tedesco – che quando doveva spiegare come pronunciare il suo cognome diceva: Rostagno come Lasagna).
Di sicuro oggi a Rino e Gianni non gli sarebbe stato concesso di cantare “Bingo Bango Bongo sto bene solo al Congo” con quel che segue, ma altrettanto di sicuro Rino non si sarebbe piegato alla “moda imperante” del politically correct. Era innamorato dello sport, tutto lo sport, come dimostra la sua biblioteca ricca di migliaia di libri solo sportivi e in varie lingue (“Non si può pensare di seguire tutto e sapere di tutto se non vuoi restare in superficie su ogni cosa” ribatteva a Clerici che cercava di persuaderlo a seguirlo anche per musei, concerti e varie arti, ottenendo sempre rifiuti).
Rino aveva la battuta pronta, prontissima e anche questo era uno dei segreti dell’imbattibile successo del duo cult. Perché Gianni era una miniera di assist e Rino li coglieva e replicava al volo. Gianni, con quella vocina a volte un po’ volutamente affettata – che ai suoi esordi non piaceva poprio a Berlusconi che non lo avrebbe “preso” agli albori di Canale 5 se Rino non si fosse imposto perfino con il Cavaliere – era capace di dire qualsiasi cosa. Sempre stupendo chi lo ascoltava. Celebre la frase, anch’essa oggi sicuramente oggetto di censura e sanzioni, con cui Gianni commentò una magnifica volée smorzata di McEnroe: “Se fossi un pochino più gay, da uno che è capace di tocchi così delicati mi farei perfino accarezzare!”. E Rino: “Beh dai Gianni non esagerare…” ridendo. E Gianni: “Tu Rino sei troppo macho per capire certe cose!”.
Siparietti memorabili. Non importava conoscere i protagonisti di quel match di tennis per restare ugualmente incollati alla TV. Sarebbe giusto, meritorio, sacrosanto che uno dei campi del Foro Italico venisse chiamato Clerici e Tommasi. Mi sentirei qui di proporlo e Binaghi farebbe un gran gesto di signorile riconoscimento se approvasse la mia proposta. Ma il presidente della FITP se la prese a morte con Rino Tommasi per il solo fatto che si era presentato alle elezioni della federtennis nel 2000, quando ricordo bene che lo fece solo perché c’era un solo candidato e sempre dicendo “Io non vorrei mai essere eletto”. Binaghi non lo conosceva abbastanza e non ci credeva. Pensava fosse pretattica. Invece Rino che fu “tirato per la giacchetta” da Franco Bartoni mentre eravamo al Masters di Lisbona seduti allo stesso tavolone con Gianni, accettò di candidarsi all’ultimo tuffo e senza fare un minimo di campagna elettorale “perché un minimo di competizione ci dovrebbe essere sempre, soprattutto quando c’è di mezzo lo sport… io non intendo proprio essere eletto, non vorrei mai smettere d’essere e di fare il giornalista. Non farò una sola telefonata a un presidente di comitato regionale per chiedergli di votarmi.” Anche così conquistò oltre il 35% dei voti… Binaghi non glielo ha mai perdonato. Potrebbe però farlo adesso. Un campo del Foro Italico intitolato al duo Tommasi-Clerici sarebbe fantastico.
Passo da un argomento all’altro perché anche oggi corro contro il tempo… Se Rino era convinto di una sua opinione, è sempre lo era, la difendeva a spada tratta, con chiunque, anche se era il direttore del suo giornale a pensarla diversamente. Come quando il direttore della Gazzetta Grigliè schierò la Gazzetta contro la trasferta della squadra di Coppa Davis in Cile nel ‘76 per via del dittatore Pinochet e invece Rino era di parere opposto e non mancò di dirlo.
Ricordo anche un episodio relativo alla disputa degli Assoluti italiani di tennis a Pescara. Il rettore dell’Universita di Pescara, Uberto Crescenti, gli chiese un pezzo di presentazione per il programma del torneo. Rino gli disse: “Se vuoi te lo faccio volentieri ma sappi che secondo me ormai gli Assoluti sono una gara anacronistica, il grande tennis è internazionale, non hanno più senso”. Crescenti, uomo intelligente e di spessore gli disse: “Un tuo articolo con una tua opinione sul nostro programma ci onora qualunque cosa tu sostenga”.
Come Rino ha saputo stimolare in me la passione per il tennis e per il giornalismo, così ha fatto con tanti altri giovani giornalisti e professionisti che sono cresciuti alla sua scuola. Luca Marianantoni, Elena Pero, Beatrice Manzari, tanti ex ragazzi che fanno parte del team attuale di Sky. Nel mio piccolo ho cercato di seguire le sue tracce con il mio Ubitennis che ha lanciato tanti ragazzi che oggi lavorano per la FITP anche con ruoli importanti. A Rino cui piaceva Ubitennis e per questo – non solo per amicizia – spesso lo citava nelle sue telecronache fino a quando è stato in grado di farle. Magari scherzandoci sopra: “Ubaldo sta studiando da direttore…” amava dire. Almeno tre volte, Rino si è mosso da Roma per venire a Firenze e partecipare all’Ubiday, la giornata in cui radunavo i collaboratori di Ubitennis per conoscersi anche de visu, per giocare insieme a ping-pong, calcetto balilla, freccette. I ragazzi erano felicissimi di incontrare una leggenda del giornalismo che raccontava mille aneddoti, con grandissima disponibilità. E direi pure umiltà… proprio lui che diceva: “Non vedo proprio alcuna ragione per essere modesto: Rino Tommasi è il miglior giornalista di tennis che c’è, l’unico altro in grado di competere con lui è… Tom Salvatori!”. Tom Salvatori, per chi non lo sapesse, era lo pseudonimo con il quale Rino firmava i suoi pezzi su Il Tempo. Ovvio che scherzava, non si prendeva mai troppo sul serio. Era la sua forza. Era autorevole, come le sue opinioni, senza volerlo essere né farlo pesare.
Vi potrei raccontare di quando Arthurs Ashe gli disse: “Senza di te Rino non avrei mai saputo quante volte di fila ho perso da Rod Laver!”, di quando Stefan Edberg subito dopo aver vinto il suo primo Wimbledon nel 1988 su Becker gli disse “Rino I saved your job” (ti ho salvato il mestiere), perché 4 anni prima Rino aveva visto giocare Edberg e se ne era “innamorato” al punto di scrivere: “Se questo ragazzo svedese non vincerà Wimbledon entro 5 anni, smetterò di scrivere!”. E in Australia, quando Edberg celebrava annualmente il proprio compleanno e gli australiani gli portavano una mega torta con le candeline, quello era uno dei pochi momenti in cui Rino si alzava dalla sua sedia dove passava ore e ore a “fare i numerini” come lo sfotticchiava Clerici, per andare ad applaudire il suo tennista prediletto. E quante ne diceva, nel corso di vari tornei, a Bisteccone Galeazzi, beckeriano convinto, che aveva osato soprannominare Edberg – o Stefanello come lo chiamava Gianni – “tacchino freddo!”. Ogni volta che Edberg batteva Becker vi potete immaginare come Rino si prendesse gioco di Bisteccone.
Nel libretto “I Circoletti Rossi di Rino Tommasi” – che raccolsi per dedicarglielo – troverete tante delle sue più proverbiali battute. Basterebbe leggere solo quelle per capire che tipo di humour avesse Rino. Negli ultimi anni la Gazzetta gli aveva sempre più compresso gli spazi, eppure Rino, opinionista vero, in 20/30 righe era capace di scrivere parole che pesavano come pietre.
Vabbè, chissà quanti altri ricordi, aneddoti mi verranno in mente nei prossimi giorni… ma il tempo è tiranno e vi devo salutare. Se aveste visto il video che feci su lui sei anni fa credo che troverete diversi spunti curiosi. Io qui posso solo aggiungere che gli ho voluto un bene pazzesco, che ne ho un ricordo e una stima fuori di ogni immaginazione e che ho molto sofferto per lui (e per la sua famiglia) in questi ultimi anni che non era più lui. Lui non avrebbe mai voluto vivere questi anni così. Ci ha lasciato, ma ci aveva lasciato già diversi anni fa. “Però questi 12 anni di silenzio hanno forse reso più profondo il segno lasciato da papà”. Così mi ha scritto suo figlio Guido che abbraccio insieme a sua sorella Monica e a sua Mamma Virginia.
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Autor: Redazione