Jacopo Berrettini porta il peso di un cognome importante nel mondo del tennis, ma le storie interessanti non hanno bisogno di paragoni.
Con la posizione numero 320 del ranking ATP, il 26enne romano ha raggiunto il suo miglior risultato della carriera. Dopo un terribile 2023 pieno di infortuni, Jacopo ha ritrovato un anno ricco di soddisfazioni e una continuità stimolante che ha riaperto tanti scenari. Con il trasferimento in Umbria, alla Tennis Training School di Foligno, nel 2024 Berrettini si è rimesso in gioco, grazie all’aiuto di Umberto Rianna e del suo mental coach Stefano Massari.
Non ha scelto il tennis per divertirsi, per quello avrebbe dovuto scegliere il calcio, come ha rischiato di fare all’età di 13 anni. Ha scelto il tennis per passione, per quella sensazione che solo la competizione di questo sport riesce a dargli e non ha mai rimpianto di averlo fatto. La sua famiglia ha sempre avuto un ruolo fondamentale e suo fratello Matteo è “la persona più importante della mia vita”, mi racconta Jacopo. Insieme continuano ogni giorno ad affrontare le difficoltà di uno sport che li accomuna e i problemi della vita di tutti i giorni.
Jacopo compete nel circuito Challenger che definisce un mondo: “Per certi versi meno stimolante, ma dove il livello si è alzato tantissimo”. Non patisce la solitudine né i viaggi in giro per l’Europa anzi, per lui rappresentano delle sfide stimolanti che lo spronano a mettersi in gioco. È un ragazzo espansivo, sincero e solare che solo negli ultimi anni può dire di aver imparato a fidarsi di sé stesso. Da quando ha capito come accettare i suoi errori, non c’è più niente che lo spaventa, o quasi.
Poco prima di partire per due settimane di allenamento in Spagna insieme suo fratello Matteo, ci ha raccontato la sua storia.
D: Quando hai capito che avresti fatto il tennista?
Berrettini: “Il secondo anno junior è stato quello in cui ho iniziato a sentirmi un professionista: ho iniziato a girare tanto, a fare tante esperienze, insomma un anno un po’ più completo rispetto agli anni precedenti. Prima di quell’anno lì diciamo che era più un sogno o una cosa che mi piaceva dire. A 14 anni dicevo “farò il tennista”, però poi arrivare a farlo non è così scontato. Mentre dai 17 anni ho capito che l’avrei fatto davvero”.
D: Voi siete una famiglia molto unita. I tuoi genitori hanno avuto un ruolo importante nella tua carriera?
Berrettini: “Sì moltissimo, sono molto presenti anche tutt’ora e non solo riguardo al tennis ma anche nella mia vita in generale. Quella credo che sia un po’ la nostra forza come famiglia. Ho un rapporto con loro che è quasi come se fossimo amici, mi piace coinvolgerli in tutto quello che faccio perché mi danno la forza di credere fino in fondo alle cose”.
D: Perché hai scelto il tennis e non un altro sport?
Berrettini: “Quand’ero più piccolo facevo principalmente due sport: tennis e nuoto. Con il tennis ho iniziato prestissimo, avevo 4 anni. Sono nato praticamente in un circolo di tennis a Roma, perché i miei genitori giocavano, così come i miei nonni. Siamo sempre stati una famiglia di tennisti, quindi anche io ci sono finito dentro e non ho più mollato. Ho avuto solo un momento tra i 13 e i 14 anni dove stavo per mollare. Mi attirava il mondo del calcio, ho sempre avuto una passione molto forte anche per quello sport e stavo per andare a provare quel mondo là. Poi, per fortuna, sono tornato sui miei passi”.
D: A proposito di calcio, secondo Paolo Maldini il tennis è molto meno divertente del calcio, perché sei sempre solo, sempre in viaggio, tu come gestisci la solitudine?
Berrettini: “Sono d’accordo con lui, è meno divertente a tutti i livelli. Stai tanto da solo oppure sempre con le stesse persone. Anche se hai la fortuna di girare con l’allenatore rischi di stare almeno 20 settimane all’anno con lui e può diventare bello intenso. Per fortuna io sono uno che gestisce abbastanza bene il fatto di viaggiare e di stare spesso con la stessa persona, non è una cosa che mi pesa troppo. Anche quando viaggio da solo sono uno che riesce a trovare altri stimoli: mi piace creare dei rapporti con le persone anche se so che non le rivedrò più. Per esempio, con i camerieri o con le persone che lavorano negli hotel dove dormo o ai tornei in cui partecipo. Mi piace aprirmi e credo che sia una caratteristica importante per stare bene in quello che facciamo. Mi sprono a fare amicizia”.
D: Negli ultimi anni il tennis, soprattutto in Italia, è sempre sotto i riflettori. Nel circuito Challenger il clima è più rilassato o al contrario, la voglia di crescere lo rende stressante uguale?
Berrettini: “Sicuramente il mondo Challenger è abbastanza tosto, soprattutto negli ultimi anni in cui il livello si è alzato tantissimo. Si vedono spesso persone che vengono dalla qualificazione e poi vincono il torneo. Il livello in generale è molto alto, quindi il clima non credo che sia più rilassato. Certamente hai meno pressione dalla parte mediatica e dal pubblico, però questo a volte lo rende anche meno stimolante. Magari ti capita di giocare con poche persone intorno e in posti un po’ bruttini rispetto al circuito maggiore. Forse, se dovessi dire qual è tra i due il mondo più rilassato direi il circuito maggiore. Perché lì hai dei benefit più importanti (meritati)”.
D: Qualche anno fa hai detto che non giocavi guardando la classifica, perché non era il tuo obiettivo. È ancora così?
Berrettini: “Mentirei se dicessi che dopo un anno come questo non ho guardato anche la classifica. È stato un anno molto positivo, sia in termini di risultati che in termini di continuità e negli ultimi mesi un pochino ci ho guardato. L’anno scorso ho fatto un anno praticamente vuoto, ero stato molto infortunato e quindi avevo poco da difendere. Chiaramente sto facendo tutto questo per andare più avanti possibile in classifica, però ancora oggi non è un’ossessione per me. Ho passato dei momenti buoni anche senza guardare troppo il mio ranking, ma migliorare anche quello resta un obiettivo sicuramente”.
D: Come hai scelto di allenarti a Foligno?
Berrettini: “Dopo aver interrotto la collaborazione con il mio vecchio allenatore che durava da tre anni, a ottobre dell’anno scorso, ero un po’ spaesato. Non sapevo bene dove andare e grazie all’aiuto fondamentale di Umberto Rianna e del mio mental coach Stefano Massari ho preso questa decisione. Loro hanno sicuramente più esperienza di me quindi mi sono fidato. Sono arrivata a Foligno e dopo una settimana di prova insieme al mio preparatore non siamo più andati via. Ci è piaciuto molto e non abbiamo sentito il bisogno di provare da nessun’altra parte. Il clima è molto bello, c’è molta coesione tra i maestri e i ragazzi e c’è anche molta competenza. Mi hanno convinto subito”.
D: Che cosa ti motiva e che cosa ti spaventa nel tennis?
Berrettini: “A livello umano mi motiva il fatto che ci siano tante difficoltà da affrontare. Viaggiare, gestire i rapporti durante i viaggi, stare tanto fuori casa. Mi motiva molto anche quel fuoco che senti dentro quando competi, quella cosa lì a me fa stare bene. Quando mi sveglio la mattina della partita provo una sensazione bellissima.
Mentre mi spaventa un po’ il futuro, perché come ben sai il tennis è uno sport d’élite. Campare giocando a tennis non è facile finché non raggiungi un certo livello. Senza voler sembrare presuntuoso, io mi ritengo un ottimo giocatore e in altri sport so che avrei una tranquillità economica molto diversa adesso. È brutto da dire ma anche quello fa tanto. Mi spaventa pensare di non riuscire a raggiungere nei prossimi anni la stabilità economica che mi possa permettere di continuare a fare questo nella vita”.
D: Ad oggi qual è stato il momento più gratificante?
Berrettini: “Quest’anno in generale. Il picco forse l’ho toccato con la finale a Francavilla: mi sono sentito fiero, orgoglioso e pieno di cose belle dentro. Arrivavo da un anno molto difficile e quel risultato mi ha riaperto uno scenario che non vedevo più tanto. Sono di nuovo consapevole di poter competere a un livello alto e so che posso dare e posso darmi ancora tanto”.
D: Quali sono i tuoi obiettivi per il 2025 in generale?
Berrettini: “Continuare a prendere in mano la mia vita il più possibile. Fidarmi un po’ più di me stesso e questo credo sia fondamentale sia dentro che fuori dal campo. Questo è il mio obiettivo primario ed è anche la cosa che mi fa stare meglio”.
D: Hai imparato a farlo anche grazie al tuo mental coach, Stefano Massari?
Berrettini: “Stefano mi ha insegnato ad essere sincero con me stesso e a fidarmi che posso dire tante cose interessanti su quello che faccio. Lui ha un approccio molto positivo alle cose, riesce sempre a prendere la parte bella di quello che succede. Abbiamo lavorato tanto su questo e stiamo continuando a farlo. Sono migliorato tanto in campo grazie a lui perché mi ha insegnato ad accettare gli errori che nel nostro mestiere è la parte più complicata visto che ne facciamo moltissimi. Gli allenamenti, così come le partite, sono lunghissimi e riuscire ad accettare gli errori, a qualsiasi livello, ti dà un vantaggio enorme per migliorare”.
D: Per te avere il mental coach è una cosa in più o una priorità?
Berrettini: “Bella domanda. Forse prima era una priorità ma nel momento presente è diventato un plus. Diciamo che va un po’ a momenti: a volte sento che ho bisogno di farlo, in altre situazione invece sento che potrei anche non fare una sessione con lui per stare meglio, ma è una cosa che faccio lo stesso perché non può che farmi bene”.
D: In che modo ti ha aiutato avere un fratello come Matteo?
Berrettini: “Mi ha aiutato tanto, sia fuori che dentro il campo. Matteo è una persona molto sensibile e attenta a quello che faccio. La mia posizione a volte è stata difficile da gestire con le altre persone, si avvicinano a me solo per chiedermi “sei il fratello di Matteo?”, e ogni tanto mi è dispiaciuto, perché era come se venisse prima quella parte rispetto alla mia persona. Ma questo non è mai stato un problema tra di noi. Lui nei miei confronti si pone in un modo eccezionale. Riesce sempre a farmi vedere le cose in una maniera diversa, a tirarmi fuori qualcosa di più che magari non pensavo di avere. Matteo è sicuramente la persona più importante che ho nella mia vita e glielo ripeto spesso perché è veramente così. Anche dopo tutte le difficoltà che ha avuto, non ha mai perso le sue qualità ed è bello vedere che adesso le persone lo vedano di nuovo”.
D: In che modo credi di averlo aiutato tu a superare quelle difficoltà?
Berrettini: “Sono sempre stato molto sincero con lui, su tutte le cose che sono successe negli anni. Anche riguardo ai suoi rapporti fuori dal campo, che sono quelli più complicati da gestire, io gli ho sempre detto la verità. Credo che sia stato importante perché quando sei dentro alle cose puoi perdere lucidità, mentre se le vedi da fuori, noti delle cose diverse e in modo più oggettivo. Gli sono stato vicino in tanti momenti tosti nella sua carriera. A livello di tennis in campo non è che gli ho dato qualcosa, le qualità sono le sue e le ha allenate con le persone giuste per lui. Però credo che la mia presenza fuori dal campo sia stata importante, gli ho fatto vedere le cose da un’altra prospettiva”.
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Autor: Margherita Sciaulino