Coppa Davis, Berrettini: “La chiave è stata la difesa, ogni partita in Davis è speciale”

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(a cura di Niccolò Moretti)

Dopo la brillante vittoria in rimonta contro Kokkinakis, che ha consegnato all’Italia il primo punto (decisivo), Berrettini è intervenuto in conferenza stampa, affrontando numerosi temi interessanti, come il suo rovescio in back e l’andamento della partita. C’è stato anche spazio per un riferimento alla serie D3.

Domanda: Giustamente parliamo spesso del servizio e del dritto, però oggi è emersa un’altra grande caratteristica: la tua capacità di giocare in difesa. Quanto è importante per te questa abilità, considerando il tuo fisico? E poi, dato che sei qui, quale sarebbe stata l’idea per l’eventuale doppio di oggi?

Parliamo spesso del servizio e del dritto, che sono le mie armi principali, ma oggi è emersa un’altra caratteristica importante: la mia capacità di giocare in difesa. Questo aspetto non è scontato, considerando il mio fisico e il mio stile di gioco che è più orientato all’attacco. Tuttavia, giocando tanto sulla terra rossa, ho dovuto sviluppare questa abilità. Giocare in difesa è molto difficile, a meno che tu non sia Jannik (Sinner, ndr) o Alex (De Minaur, nd). La difesa può davvero fare la differenza in alcuni momenti chiave del match, quando riesci a vincere quei 2-3 punti cruciali che ti permettono di cambiare l’inerzia della partita. Per me è stata una chiave importante oggi: mi sono sentito molto presente, fisicamente a posto, e questo mi ha permesso di giocare con più calma nei momenti decisivi.

Per quanto riguarda il doppio, dopo i singolari ci siamo detti che saremmo fermati tutti per discutere, come facciamo sempre. Avremmo valutato quale fosse la coppia più forte per il bene della squadra. La fortuna di avere una squadra così competitiva è che abbiamo molte opzioni valide, e prendere queste decisioni non è mai semplice. Però è un buon problema da avere.”

Domanda: Ci spieghi quel colpo che alcuni hanno definito uno dei più belli della storia? Matteo Berrettini: 

Vincenzo (Santopadre, ndr) diceva sempre che era il dritto di Castrichella. Riguardo al colpo, mi ricorda un momento contro Gaston a Kitzbühel, su una palla break. Mi ricorda una situazione simile contro Gaston a Kitzbühel, quando al primo set ho avuto una palla break e lui ha risposto lungolinea. Ero fuori posizione, mi sono lanciato verso sinistra e ho tirato una specie di slice molto particolare. È un colpo che non sempre riesce, ma lo gioco abbastanza spesso, soprattutto perché l’ho coltivato fin da ragazzino sulla terra rossa, dove si impara a usare il polso e a inventare qualcosa quando le gambe non arrivano. Quel colpo non è solo tecnico, è anche un momento che ti dà energia, che cambia l’inerzia della partita. In quel caso ha coinvolto il pubblico e mi ha dato una spinta speciale. Da lì in poi, le cose sono girate a mio favore.

Domanda:
Nel tuo romanzo personale fatto di rinascite e risalite, dove collocheresti questa impresa? E il fatto che sia avvenuta in Davis rende tutto ancora più significativo?

Matteo Berrettini: Ogni partita in Davis è speciale. Prima di scendere in campo, mi ricordo di quando ero bambino e guardavo questa competizione in TV.  Ricordo quando avevo 19 anni ed ero in Serie A. Ascoltavo l’inno e Bolelli mi disse: un giorno lo ascolterai in Davis Oggi rappresento l’Italia e gioco per i miei compagni, e mi do un pizzicotto per vedere se mi sveglio. Dopo il primo set, i ragazzi mi hanno spronato, dicendomi che meritavo di vincere e che ero il giocatore più forte. Quando lo senti da loro, ci credi ancora di più.

Domanda: Qual è il tuo rapporto con il rovescio in back? È un colpo che giochi volentieri o lo usi più per necessità?

Matteo Berrettini:Il mio legame con il rovescio in back nasce da un infortunio a 11 anni, quando mi ruppi il dito giocando la D3 e fui costretto a giocare solo slice per un mese. Da lì ho sviluppato una sensibilità particolare, che ho poi affinato con Vincenzo (Santopadre, ndr). Questo colpo mi permette di rallentare il ritmo quando necessario e si rivela un’arma tattica importante nel tennis moderno, anche se cerco di non abusarne.

Domanda:
“Dopo uno sforzo del genere, saresti fisicamente in grado di giocare un eventuale doppio? Come ti senti?”

 Matteo Berrettini:Fisicamente mi sento bene. Le scelte che verranno fatte, saranno senz’altro per il bene della squadra. Durante la partita non mi sono mai sentito stanco, ho terminato con grande energia. Ovviamente, l’adrenalina sale e scende, ma sono pronto se dovesse servire. Tuttavia, spero non ce ne sia bisogno!

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Autor: Redazione