Alexander Zverev si appresta ad affrontare il suo decimo Australian Open, per la prima volta da numero due del ranking. Nel corso dell’ultima stagione si è parlato di lui come di un reale favorito per la vittoria di un Major, ma alla stretta finale sia Sinner che Alcaraz si sono dimostrati più freddi e intraprendenti e hanno finito per dividersi le tappe del quadrilatero Slam. Sasha però non si è arreso e il suo sogno riparte proprio da Melbourne, da dove uscì dodici mesi or sono in semifinale per mano di Daniil Medvedev dopo essere stato in vantaggio per due set a zero.
“Sapete bene tutti” – esordisce il ragazzo di Amburgo – “cosa sto inseguendo. Inizio il torneo con l’obbiettivo di arrivare sino in fondo, nella mia testa sono pronto. I miei rivali saranno per primo certamente Jannik, ma anche Carlos e Novak, e non dimentico Daniil Medvedev”. La chiacchierata verte per la maggior parte sull’introduzione del coaching; Zverev non è un fan dell’iniziativa e sull’argomento si esprime così: “Inizialmente non amavo questa pratica, che ai miei occhi, in un certo senso, annacqua lo spirito di questo sport, che è innanzitutto una sfida con te stesso a trovare le soluzioni per superare il tuo avversario. Non ricordo un solo match il cui esito è stato ribaltato dal coaching. Direi che ormai da diversi anni la collaborazione è permessa. Certo ora è diverso, l’allenatore siede vicino, ha l’IPad e può tenere informato l’atleta riguardo alle statistiche. Vedremo come andrà, di ceto avremo più coach tranquilli; se questa è la strada del futuro, allora percorriamola al 100 per 100”.
Alexander tiene a puntualizzare in merito al fatto che il suo allenatore è anche suo padre: “Per me non ci sono problemi e le cose funzionano benissimo. Lui non vuole sapere a che ora vado a letto o dove vado se esco; da tempo ha capito che, come uomo, ho bisogno dei miei spazi e penso che alcune relazioni padre-figlio nel tennis juniores smettono di essere produttive proprio perché il più vecchio dei due non lo capisce”.
Un giornalista lo sollecita in merito alle strette di mano un po’… fredde, argomento ritornato di attualità alla United Cup, e Sasha risponde ritornando anche su un episodio che lo ha riguardato, facendo anche autocritica: “Nell’ATP a volte ci si abbraccia, magari dopo un match lungo. Chiaramente, se si è amici, le coso sono più facili. Da parte mia ad Amburgo con Arthur Fils la stretta di mano da parte mia è stata in effetti tutt’altro che calorosa. Non per il servizio da sotto, ma per il continuo controllo da parte sua dei punti; mi sembrava un gesto che metteva in dubbio la mia sportività. Alla fine, è stata più colpa mia se ci siamo salutati male. Se invece parlate di Swiatek e Collins, beh, penso sia successo qualcosa in precedenza”.
Nella platea dei giornalisti spunta anche un certo Novak Djokovic, che prende per sé lo spazio delle ultime domande al campione tedesco: “Tutti noi sappiamo quanto ti appassioni il cosmo e le esplorazioni spaziali. Cosa più ti attrae dell’argomento?”.
Zverev: “Provare a immaginare l’ignoto (sorride). Ti piace come risposta? Crediamo di sapere un mucchio di cose, ma in realtà sappiamo ben poco”
Djokovic: “Pensi che la soluzione per vincere un torneo dello Slam si celi nello Spazio?”
Zverev: “Penso che la soluzione sia che tu mi permetta di vincerne uno!”
O que achou dessa notícia? Deixe um comentário abaixo e/ou compartilhe em suas redes sociais. Assim conseguiremos tornar o tênis cada vez mais popular!
Esta notícia foi originalmente publicada em:
Fonte original
Autor: Danilo Gori