Juan Aguilera – classe 1962 – è scomparso un paio di giorni fa, dopo una lunga malattia, a Barcellona: aveva appena compiuto 63 anni. La carriera del tennista spagnolo iniziò ufficialmente con il passaggio al professionismo nel 1981, per poi attraversare tutti gli anni ’80, fino al 1991, quando disputò l’ultimo match nel torneo di Messina: Aguilera, dotato di un meraviglioso rovescio in alice, ha conquistato cinque titoli ATP. Il primo arrivò nel 1984 (insieme al best ranking di numero 7) nel torneo di Aix-En-Provence, quando sconfisse il connazionale Fernando Luna: nel corso dell’anno precedente aveva invece raggiunto la prima finale nel circuito, a Bordeaux, perdendola con il peruviano Pablo Arraya, ovviamente sulla terra battuta.
Il “rosso” ha rappresentato il punto di riferimento della carriera di Aguilera, se è vero che tutte e nove le finali della sua vita avevano il sapore polveroso della terra: un paio di settimane dopo Aix-En-Provence arrivò anche il (primo) successo ad Amburgo, nel 1985 vinse il torneo di Bari (sconfiggendo nell’ultimo atto il futuro mentore di Novak Djokovic, Marian Vajda) e fu invece sconfitto nella finale di Saint-Vincent da Franco Davin, nel 1990 perse le finali di Sanremo e Palermo (in Sicilia perse ancora con Davin) ma trionfò a Nizza, e, soprattutto, ancora una volta, ad Amburgo, dove visse la sua settimana più emozionante di sempre.
Una settimana, a dire il vero, iniziata praticamente per caso: Aguilera riuscì a entrare solamente all’ultimo nel tabellone principale del torneo tedesco, approfittando del forfait di due colleghi: non si era nemmeno iscritto nel tabellone delle qualificazioni e, se non fosse stato per quei due ritiri, non avrebbe nemmeno partecipato al suo torneo del cuore. E ci saremmo persi la cavalcata di un grande talento: Ivanisevic, Chang, Courier, Gustafsson, Forget e Becker. Sei dei nomi più pesanti dell’epoca, sei top 50, tre top 15. E ovviamente il numero 3 del mondo, l’idolo di casa: Boris. Con il quale dominò la finale, mettendo in mostra tutto il repertorio: il dritto carico, stretto o profondo, il lob liftato, la fantasia dei colpi scivolosi che attiravano l’avversario nella trappola delle zone più scomode del campo, con lo scopo di incastrarlo, e poi, manco a dirlo, l’eleganza dello slice di rovescio – il vero marchio di fabbrica – grazie al quale dipingeva il proprio gioco.
“Ho giocato il miglior match della mia vita”, raccontò Aguilera: 6-1 6-0 7-6, che superò anche la tensione di un’interruzione per pioggia. Il temporale tedesco provò a salvare l’eroe in difficoltà (Becker), e non poteva essere altrimenti, interrompendo il gioco sul 6-1 5-0: ma al rientro in campo, dopo una pausa lunga più di un’ora, Juan mantenne la freddezza giusta, e chiuse l’incontro in tre set, diventando il primo spagnolo a conquistare un torneo Masters 1000 (all’epoca si chiamavano Super 9, ma il succo non cambia, si trattava dei tornei più prestigiosi del circuito ATP). Nel suo precedente successo ad Amburgo, nel 1984, aveva battuto nei quarti il numero 6 e campione in carica del Roland Garros Yannick Noah, in semifinale il veterano e numero 11 Guillermo Vilas mentre in finale aveva rimontato lo svedese Sundstrom (numero 16) con il punteggio di 6-4 2-6 2-6 6-4 6-4.
Il 1984 fu anche l’anno del miglior risultato a livello slam della carriera di Aguilera: raggiunse gli ottavi, ovviamente al Roland Garros, perdendo in tre set con Mats Wilander. Il suo tennis talentuoso ha lasciato una traccia profonda e Omar Camporese (ex numero 18 del mondo) l’ha ricordata così in un’intervista concessa a spaziotennis.com: “Un bravissimo ragazzo, andavamo molto d’accordo, ci allenavamo insieme. Mi piaceva perché riuscivo a sentire bene la pallina con lui. Ero innamorato del suo back di rovescio, a volte gli chiedevo come potevo avvicinarmi al suo livello (ride). Ricordo ancora quando mi raccontò che, in finale a Nizza, riuscì a battere Stefan Edberg con tanti passanti in slice. Mi lascia un vuoto immenso, gli ho voluto bene e penso che anche lui ne abbia voluto a me. Sicuramente mi rimarrà un ottimo ricordo”.
Josè Altur – connazionale, amico e collega di Aguilera – l’ha invece ricordato così: “È una delle migliori persone che abbia mai conosciuto. Con i tennisti tendi sempre a essere amico-rivale, con lui sentivi di avere un amico vero, un collega, un fratello. Lo ricordo come una persona semplice e umile. Sono cinque anni più giovane di lui e per me è stato un’ispirazione. Durante i tornei viaggiava con la chitarra. Ci trovavamo nella sua camera, ascoltavamo musica insieme, era di compagnia. È un giorno triste per me oggi. È stato un grande tennista, ma soprattutto una gran persona”.
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Autor: Jacopo Gadarco