‘Nasty’: sublime affresco di un tennis e di un mondo unici, non replicabili

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La definizione più centrata di chi sia stato il protagonista di questo articolo ci viene rivelata nei momenti finali della proiezione, di quello che è senza dubbio alcuno uno dei migliori docufilm sportivi dall’avvento del nuovo secolo, l’inventore di un tennis surrealista o se preferite colui che ha introdotto il surrealismo nel tennis. Centoquattro minuti di pellicola che scorrono via piacevolmente, tenendoti attaccato allo schermo tra aneddoti, immagini a colori e filmati in bianco nero di un mondo che non ritornerà più.

La figura di Ilie Nastase è stata rivoluzione, punto di svolta: segno indelebile di un cambiamento irreversibile partorito in un contesto sociale ma anche politico unico, distante anni luce dalle dinamiche umane che scandiscono il tempo ai nostri giorni. In poche parole quella dicotomia ossimorica che ha dato il là ad una nuova fase dello sport che amiamo.

Il primo numero uno ATP della storia (1973) che delinea marcatamente la nascita dell’Era Open (1968): talento smisurato, pittorica personalità. Un mix ineguagliabile in grado di contornare la prima grande Star (concepita come da manuale dei confini odierni) della storia tennistica – anche se in tal senso è giusto fare una piccola postilla per Pancho Gonzales, il primo vero divo del tennis: un po’ quello che è stato Arthur Friedenreich per il calcio brasiliano prima dello sbarco di Pelé che come Nastase ha poi traghettato questo fenomeno su lidi fin lì inespugnati -. Quel atleta che travalica il perimetro di appartenenza, diventando icona trasversale e soprattutto autentica. Perché se c’è un valore incontestabile da affiancare al genio ribelle, e spesso quasi infantile, di Nastase è proprio la verità. Ilie non fingeva: le sue esasperazioni, le sue esternazioni, i suoi eccessi, la sua creatività di attrarre in campo tanto quanto – e forse ancora di più – al di fuori, erano tutte conseguenze del proprio modo di vivere l’esistenza.

Una postura nello stare al mondo, ineluttabilmente figlia di quegli anni e coerente con il suo essere straordinariamente istintivo, naïf, a volte quasi bambinesco ma in fondo sempre innocente e generoso verso il prossimo.

Il racconto coglie inoltre l’occasione per esporsi come il manifesto di un tennis dannatamente affascinante: per certi versi molto più vicino empaticamente agli appassionati, quel segreto di Pulcinella trapiantato nel tennis che ad esempio rende perennemente impareggiabile l’Italia di Spagna ’82. Un tennis, come viene accuratamente spiegato nella pellicola, di cameratismo e fusione in un corpo solo. Erano giocatori di tennis, non macchine programmate per uccidere e oleate scientificamente anche nel più minuzioso e – alla vista di quegli occhi – irritante dettaglio. Come è naturale che sia, nello sport come nella vita tutto si è trasformato, ha mutato pelle: le migliorie atletiche a rendere i tennisti atleti straordinari, che possono ora affiancarsi di stuoli di professionisti in ogni ambito. All’epoca invece non esisteva, tranne che in rarissime eccezioni, neppure la figura del coach. Si cresceva insieme, ci si aiutava a vicenda anche se l’indomani si era uno di fronte all’altro. Si condivideva lo stesso spogliatoio, numero con numero cento senza mai dimenticare la voglia di divertirsi con spensieratezza e allegria. La sera precedente alla partita era abbastanza consuetudine che due tennisti rivali andassero a cena insieme.

Nasty ci parla di un globo devastato da guerre e conflitti ad ogni latitudine: dalla latente tensione che contrapponeva il blocco comunista dell’Est Europa al capitalismo statunitense, passando per la rivoluzione romena del 1989 che provocò la fine del regime dittatoriale di Ceausescu e durante la quale Nastase, nel rapportarsi con ciò che era situato oltre la Cortina di Ferro, assunse la rappresentanza della ribellione di un popolo stanco di soprusi. Ebbene in un contesto del genere non si poteva che dare luce a uomini di sport che aprocciassero alla loro disciplina in modo scanzonato, leggero a ciò che in fondo è e rimane un gioco.

Abbandonando per un attimo il panorama nella sua totalità e concentrandoci esclusivamente sul cuore pulsante della narrazione, non si può non evidenziare l’eccentricità o le striature caratteriali fumantine ed irrequiete che più del proprio tennis hanno consolidato proseliti in ogni angolo del pianeta. Nastase è stato antesignano e anticipatore delle vesti che lo sport avrebbe indossato nel futuro: l’intrattenimento, uno spettacolo a tutto tondo. Le burlate, gli scherzi, le prese in giro, le veementi proteste, i nomignoli; tutti causa e conseguenza di un ardire più elevato: fare show, o anche trash talking come si direbbe oggigiorno in ambito yankee.

Ilie era brillante, fantasioso: un comico nato, possedeva naturalmente tempi comici fuori dal comune. E’ stato colui che maggiormente ha ispirato e influenzato la personalità di altri che come e dopo di lui si sarebbero distinti per la loro esondante indole: racchetta in mano ma “matti come cavalli”. Questo suo estro caratteriale, che abbinava frangenti di focoso temperamento dove ne aveva per tutti i gusti – diti medi, insulti gratuiti, lunghi e irrazionali dibattiti con i giudici di sedia tra un turpiloquio e un illogico gesto di trance adrenalinica che sfociava in calzini abbassati, pacche affettuose, spintoni e chi più ne ha ne metta – ad attimi di pura decontrazione professionistica in cui d’un tratto si svestiva dei panni del tennista per indossare quegli dell’impertinente donnaiolo, celava due lati della stessa medaglia. La volontà di piegare a sé ogni comparto agonistico: per cui l’indirizzamento psicologico dell’arbitraggio, il condizionamento degli spalti a suo piacimento e un’asfissiante pressione mentale sull’avversario al fine di stanarlo e ridurlo figurativamente a brandelli senza nemmeno dover più di tanto pescare dalle sue infinite qualità tecniche. Insomma un modus operandi di mourinhista memoria per i calciofili alla lettura.

Ma questo comportamento sempre al limite, con i nervi continuamente tesi a fior di pelle, era anche il segno di una certa fragilità emotiva che in particolare in alcune tappe della carriera – vedi la finale di Wimbledon ’72 persa con Stan Smith – si rivelò deleteria per lui. Altresì, in altre circostanze era quel surplus di energia di cui necessitava per sedimentarsi verso il successo: il modello Djokovic per intenderci, che trae forza dal battibeccare con pubblico e giudici.

I Fratelli di Nastase

La visione del docufilm, proiettata presso la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica intitolato ad Ennio Morricone, si incentra nell’individuazione di due fratelli Nastase: uno di sangue, l’altro di vissuto. Se infatti abbiamo avuto Ilie Nastase, lo dobbiamo in gran parte a Costantin Nastase di 13 anni più grande.

E’ stato infatti Costant a far entrare il tennis a casa Nastase, riempiendola di cimeli tennistici e trasmettendo così l’amore per questo sport al fratello minore sin lì anche amante del pallone. Gli intervistati ci descrivono il Nastase senior, come un autentico prodigio dell’applicazione mentale, dell’abilità di stare sul pezzo, dell’intrinseca e ferrea abnegazione all’allenamento. Se soltanto Costantin avesse avuto solo il 10% del talento di Ilie, avrebbe sicuramente scritto nel tennis pagine significative di storia: ce lo dice il fratello di vita, vale a dire Ion Tiriac. I gemelli diversi del tennis rumeno: assieme vinsero il Roland Garros del 1970, la coppia perfetta. Ion la mente: riflessivo, astuto, tattico. Ilie la classe del talento: sregolata, istintiva, imprevedibile ma irrimediabilmente dirompente.

Un connubio unico di fratellanza, di amicizia incrollabile: Tiriac di 8 anni più vecio dell’irrefrenabile Nastase, fu per Ilie quasi un padre sportivo che seppe indicargli il sentiero e rimetterlo sulla retta via quando la smarriva. Tuttavia non mancarono dissidi e dissapori, come quando impiccarono le loro possibilità di diventare Eroi Eterni nel doppio della finale di Coppa Davis del ’72. Passarono l’intero match ad insultarsi, spianando la strada agli Stati Uniti di Smith. Quella finale, la terza ed ultima – tutte perse – della Romania, era l’occasione irripetibile: in casa sulla lentissima terra rossa di Bucarest dove nulla avrebbe potuto il servizio di Stan, proprio nel doppio naufragarono le speranze rumene. La domenica, un Tiriac trentatreenne svuotato dalle 5 ore del venerdì nulla poté contro Smith al quinto set del match decisivo.

(a cura di Scanagatta) Tiriac non perdonò soprattutto a Ilie di essere sparito per tre settimane prima di quella finale, abbandonando ogni allenamento. Arrivò a Bucarest 3 giorni prima del sorteggio e ai primi allenamenti sulle sue mani apparirono delle vesciche. Il risultato fu che Nastase perse sulla terra battuta amica da Stan Smith che davvero non era uno specialista dei campi rossi. Per Tiriac la conquista di una Coppa Davis sarebbe stata la soddisfazione più grande della sua vita di tennista, per Nastase un’impresa come un’altra.

Nel presente, due uomini compassati con capelli e barba che danzano fra il bianco e il grigio si guardano intensamente. Prende la parola il vecchio Ion: “quella finale è ancora oggi per me un dramma personale, per lui – indicando Ilie – non ha mai avuto la stessa valenza perché ha vinto Slam, ed in fondo è un’individualista. Io invece provengo dall’Hockey e lì se non aiuti in difesa erano colpi di mazza“.

Semplicemente Ion e Ilie, fratelli dal destino diverso ma dal legame indissolubile.

I Figli di Nastase

Scovati i fratelli, le discendenze genealogiche della quercia Nastase si soffermano adesso sui “figli” tennistici di Ilie. Due che hanno attinto a piene mani dalla sua personalità e dal suo modo di gestire i frastuoni emotivi delle partite: Jimmy Connors e John McEnore

JIMBO è stato però molto di più, sicuramente in parte “plagiato” – come lui stesso afferma nel documentario – sotto l’influenza dell’amico fraterno, è stato il completamento. La seconda metà mancante del medesimo levigato di pregiato legno: i loro match in coppia erano qualcosa che trascendeva l’umana comprensione del gioco del tennisriappropriando il tennis di un viscerale rapporto ancestrale con la pura goduria del divertimento. Due banditi alla riscossa.

Beh con John è uno ed uno soltanto l’avvenimento da citare: il secondo turno dello US Open 1979, prima sessione serale di sempre a Forest Hill. L’inimmaginabile che divenne realtà: il quieto Franck Hammond, primo grande giudice di sedia che il tennis abbia conosciuto, vide sfaldarsi lì la sua promettente carriera con qualcosa che non aveva precedenti e che non ha avuto successori: la sostituzione di Hammond con il direttore del torneo, dopo che Franck aveva chiamato il punteggio finale sfibrato dal miliardesimo vano tentativo di convincere Nastase a riprendere il gioco,  il quale beatamente si crogiolava al suolo mentre veniva subissato di fischi e oggetti dagli alticci tifosi americani. Un clima surreale, come racconta McEnroe, che Nastase aveva voluto creare fin dal primo quindici consapevole che l’unico modo per raggiungere la vittoria era far sì che quella tutto dovesse essere tranne che una partita di tennis. Alla conclusione di quel ottovolante, al rientro negli spogliatoi, John era pronto a divorarsi Ilie: indiavolato nero per non avergli permesso di vincere sul campo. Ma proprio mentre McEnroe stava per apostrofare dolcemente il nemico giurato con “Brutto S……” ecco che Nastase ti piazzava lì una frase assolutamente spiazzante: “MACARONI dove andiamo a cena stasera? Ho due belle ragazze…”.

Come dimenticare poi …

L’unica partita della storia con due sconfitti e nessun vincitore

Stoccolma, 1975, Masters di fine stagione. Arthur Ashe contro Ilie Nastase.

Il rumeno aveva vinto la finale a Forest Hills nel 1972, sventolando l’assegno davanti all’americano mentre quest’ultimo nel discorso di premiazione dichiarava: “Nastase è un giocatore molto forte, ma potrà fare un salto in avanti quando deciderà di comportarsi diversamente“.
In quell’incontro svedese tutto precipitò nel momento in cui l’arbitro chiese a Nastase di rigiocare il servizio – un ace all’apparenza – perché Ashe non era ponto: fermatosi dopo aver visto due raccattapalle passarsi una palla alle spalle del rivale mentre questi era in procinto di battere. Apriti cielo, Ilie – che non aveva esattamente compreso il perché di quella chiamata del giudice di sedia – si trasforma in una furia: comincia ad inveire chiedendo a gran voce provvedimenti contro l’avversario e invece è lui che inizia a collezionare warning. Completata compiutamente la metamorfosi nell’attore teatrale con racchetta al seguitoNastase comincia a sbeffeggiare il rivale “Are you ready Mister Ashe?” e poi con ripetute finte alla battuta accompagnate da improvvide smorfie del viso. Ad un certo punto anche un tipo solitamente imperturbabile come Ashe va in escandescenza “Basta, ne ho abbastanza!” decidendo in autonomia di abbandonare il campo prima ancora di essere squalificato. All’arbitro che aveva ammonito in precedenza Nastase, non resta dunque che prendere atto del ritiro dell’americano e assegnare ad Ilie la vittoria.

(a cura di Scanagatta) Ma poco dopo il direttore del torneo Klosterkemper capisce che Ashe era stato fortemente provocato e che non può non squalificare Nastase. Insomma hanno perso tutti e due! Ma il Masters di fine stagione, con la formula dei gironi all’italiana, consente ad entrambi di proseguire nel torneo, pur avendo zero vittorie prima delle due successive partite con gli avversari del loro girone, Panatta e Orantes.

La mattina seguente nel Grand Hotel di Stoccolma, il buon Arthur sta consumando la colazione – seduto al tavolo adiacente la finestra – quando viene viene raggiunto da un mazzo di fiori alle cui spalle si scorge Nastase.

Ecco chi era il tennista rumeno più forte di tutti i tempi: un inguaribile romantico del tennis che si faceva beffe del politicamente corretto (Negroni Ashe, Macaroni McEnroe, Godzilla Smith) alcuni dei suoi celebri soprannomi. Tale vena artistica e senza peli sulla lingua nell’incensare con appellativi che farebbero rabbrividire i social, non lo ha mai abbandonato: ma il mondo è ormai cambiato, e questo suo modo di fare lo ha pagato severamente nel 2017 quando da capitano di Fed Cup si lasciò andare ad un’uscita decisamente infelice nei confronti del pargolo in grembo a Serena Williams: “Di che colore sarà? Tipo cioccolato con il latte?“. Quattro anni di squalifica.

Le ripercussioni sul regolamento

I fatti di Stoccolma 1975 e New York 1979 hanno fatto legge. Dopo quegli episodi, infatti, la Federazione Internazionale fu costretta a mettere mano al regolamento rivelatosi totalmente debole e inadeguato nelle due occasioni. Nacque così il Code of Conduct, di cui proprio Ashe fu il più naturale estensore.

Chi meglio di Arthur, spettatore oculare e vittima, poteva aiutare a redigerlo sfruttando anche le sue competenze in materia dopo la laurea all’Accademia di West Point? Se nel calcio abbiamo quindi avuto la sentenza Bosman ad individuare un prima e dopo, a livello regolamentare nel tennis questo ingrato compito è da affibbiare al buon Nastase.

Il Nastase tennista

Volendo invece tratteggiare le caratteristiche del Nastase giocatore, da un punto di vista squisitamente di campo, parliamo di un tennista dotato di agilità e rapidità fenomenali a cui abbinava una capacità nel sentire la palla occhio-braccio tipica dei talenti cristallini. Come osserva Noah “il primo tennista a ‘giocare veramente a tennis“, in possesso di una visione oltre la norma. Fu anche perfezionista e corresponsabile della nascita di un nuovo colpo, che in quel tennis dove – a velocità ridotte – si potevano ammirare eleganza e manualità divenne esecuzione determinante: il lob di rovescio in top spin. Con le racchette di legno dell’epoca un colpo difficilissimo. Manolo Santana era stato il primo in assoluto a farlo, ma esclusivamente di dritto.

Il docufilm verrà proiettato nelle sale italiane dal prossimo novembre. Ci sono inoltre contatti in corso con l’ATP per far premiare Sinner come n.°1 di fine anno dal primo che il computer ha incoronato. Consigliamo a tutti i più giovani di fiondarsi al cinema appena sarà possibile – ieri intanto alle 19 è stata proiettata la prima replica al Cinema Giulio Cesare di Roma – per ammirare questa perla e scoprire un mondo del tennis che oggi appare lontanissimo, ma anche a quelli che hanno qualche anno in più sulla carta d’identità per rituffarsi in un nostalgico passato in grado certamente di smuovere qualcosa dentro.

Perché in fondo il fascino del maledetto è sempre il più attrattivo e stimolante: George Best, Ilie Nastase. “Vivere al limite ma sempre al massimo” espressioni in controtendenza ma che si manifestavano col cuore.

Vedere i giocatori di un’altra epoca che sotto 15-40 alla Nastase giocavano un punto non conservativo ma una palla da rosso e nero balcanica, fuori o dentro. Ecco questi qua secondo me non ci sono più come certi tipi di calciatori degli anni ’70. Il termine osceno per descrivere genio e sregolatezza. Avevano una visione del mondo correlata a come si viveva diversamente. Oggi invece come ti direbbero in tanti di quell’epoca sembra che si guardino allo specchio prima di entrare in campo“. Ci lasciamo con le parole dell’avvocato Federico Buffa, come sempre in grado di condensare e narrare le leggende sportive.

Ilie Nastase, Nadia Comaneci e Gheorghe Hagi: il gotha dello sport rumeno che ha fatto la Storia.

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Autor: Cipriano Colonna