Riflessioni sul weekend di Coppa Davis: la formula, le storie e il “caso Belgio-Cile”

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Mentre in Italia impazzava la polemica sulla mancata partecipazione di Sinner alla visita delle nazionali italiane al Quirinale, e gli azzurri si godevano la qualificazione automatica alle Finali di Bologna, nei quattro angoli del mondo si sono disputati i primi turni di Coppa Davis.

La storica manifestazione che dopo il “terremoto Kosmos” è alla faticosa ricerca di una sua identità più o meno stabile in questi giorni tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio ha regalato alcuni lampi dell’antico fulgore, distribuendo agli appassionati in giro per il mondo partite all’ultimo respiro, rimonte, sorprese e anche una buona dose di polemiche.

Verso la formula giusta?

Con l’ITF impegnata nella ricostruzione della Davis cercando trarre quante più lezioni possibile dal fallimento dell’operazione Kosmos, uno dei primi risultati di questo esperimento è l’essenzialità del modello “casa-trasferta” nella struttura della competizione. Per quanto siano innegabili i vantaggi commerciali della Final 8 in sede unica a fine anno, il sale della Davis è fornito dagli incontri giocati con il formato “casa-trasferta”: partite tra giocatori mediocri possono trasformarsi in epiche battaglie che hanno il potere di lanciare o troncare carriere, i valori della classifica vengono sovvertiti dall’atmosfera di una competizione nella quale si rappresenta non solo sé stessi, ma tutto il Paese, e lo si deve fare in condizioni ambientali spesso uniche e mai sperimentate o sperimentabili nei tornei individuali.

La formula dei “tie” al meglio dei cinque match, con due singolari la prima giornata e il doppio all’inizio della seconda, seguito dai due eventuali singolari incrociati sembra essere un ottimo compromesso tra il formato storico distribuito su tre giorni e con partite 3 su 5 e la versione forzatamente “fast-food” della Final 8.

La possibilità di diluire i vari incontri sulle quattro giornate in fondo alla settimana (Norvegia-Argentina si è giocata tra giovedì e venerdì, mentre altri quattro incontri dei “Qualifiers 1” sono stati disputati sabato e domenica) consente di evitare la bulimia tennistica cui ci costringevano gli appassionati con la rigidità e la lunghezza della formula storica.

Con questo formato si possono rimediare gli scivoloni iniziali e c’è tempo per rimontare: ce l’ha dimostrato la Danimarca risalendo da 0-2 contro la Serbia davanti agli 11.000 spettatori di Copenhagen, e l’ha dimostrato anche il Giappone che ha vinto gli ultimi due singolari contro la Gran Bretagna nella palestrina di Mika.

La limonata con i limoni

E proprio la diversità di dimensione delle varie sedi dimostra come sia stato possibile trasformare almeno uno degli aspetti logistici più complicati della Davis in un potenziale punto di forza.

Il primo turno di questa Coppa Davis, o “Qualifiers 1” come si chiamano ufficialmente, rappresenta uno dei passaggi più complicati dal punto di vista organizzativo di tutta la competizione. Questo perché il tabellone viene sorteggiato all’inizio di dicembre, e successivamente sono necessari almeno 10-15 giorni perché la Nazione ospitante di ogni incontro decida dove vuole (o in molti casi, dove può) giocare l’incontro, lo comunichi all’ITF e questa dia il proprio benestare o meno. Dopodiché in buona parte del mondo occidentale si incoccia nelle festività natalizie o di fine anno, per cui rimane sì e no un mese pulito per promuovere l’evento e assicurarsi un successo di pubblico e, per quanto possibile, commerciale.

Non si tratta di un problema da poco: trovare un’arena in grado di ospitare un incontro di Davis, libera per almeno cinque-sei giorni consecutivi (due per la costruzione del campo, uno o due per gli allenamenti, due per la competizione e uno per lo smantellamento), con circa sei settimane di preavviso è tutt’altro che semplice, soprattutto se ci si vuole infilare anche considerazioni di tipo strategico e agonistico: su che superficie è meglio giocare contro l’avversario che mi ha regalato il sorteggio? Dove possiamo contare sul maggior supporto del nostro pubblico?

Se prendiamo l’esempio del Canada, dove giocare all’aperto in pieno inverno non è un’ipotesi percorribile, le arene indoor nel corso dell’inverno sono quasi tutte completamente occupate dai campionati di hockey, trovarne una libera per quasi una settimana è quasi impossibile. A volte si arriva a prenotarla in maniera “preventiva”, anche se ciò spesso non è propriamente economico. E qui si arriva all’altro lato della medaglia: spesso può capitare che gli incontri di primo turno, di sovente snobbati dai grandi nomi, non rappresentino incontri di grande attrattiva, per cui bisogna calcolare bene che tipo di impianto si affitta, onde evitare di doversi accollare una spesa troppo onerosa che potrebbe non essere controbilanciata da adeguati incassi.

L’assenza delle stelle può essere dovuta anche alla situazione logistica degli incontri stessi di Davis. Per esempio, gli argentini dopo l’Australia hanno dovuto fare una puntatina in Norvegia prima di tornare in Sud America a giocare sulla terra. Bisogna essere indubbiamente molto motivati, così come si è dimostrato molto motivato il canadese Alexis Galarneau, che dopo aver giocato e perso il singolare decisivo per il Canada a Montreal domenica sera, poche ore dopo è salito su un aereo per andare a giocare un challenger a Chennai, in India, in condizioni di gioco, campi, clima e quant’altro completamente diverse, e a più di 10 fusi orari di distanza.

Tennis Canada ha scelto la soluzione di “fare una festa a casa” invece di noleggiare un locale: hanno imparato ad allestire un’arena indoor da poco più di 2000 posti nei campi indoor della loro struttura di Parc Jarry a Montreal, di fianco all’IGA Stadium che in estate ospita il torneo Masters 1000, facendo leva su tutte le strutture di supporto del torneo maggiore (volontari, giudici di linea, staff di supporto, sponsor, sicurezza, etc…) e potendo contare su un pubblico conoscitore che può riempire un’arena piccola anche in occasione di un incontro senza nomi di spicco. E facendo leva sulla multiculturalità di una città come Montreal, si può sempre contare di avere anche una discreta rappresentanza di immigrati che fanno il tifo per la squadra ospite.

Bisogna dare atto all’ITF di aver avuto sufficiente flessibilità da permettere alle federazioni ospitanti di trovare la soluzione migliore per il loro mercato, anche se ciò significa far giocare il primo turno della “Coppa del Mondo del tennis” in impianti che sembrano più palestrine di provincia che stadi da… Coppa del Mondo.

Ma questo ha diversi vantaggi: come detto si può consentire di far tornare i conti anche a federazioni non ricchissime che si trovano ad ospitare incontri di non eccessivo appeal. Poter organizzare i “tie” in impianti più piccoli consente di portare il tennis della Coppa Davis, in tutto e per tutto una competizione di livello mondiale, in luoghi che il grande tennis potrebbe anche non sfiorare; Miki (Giappone), Hasselt (Belgio) e Orleans (Francia) sono tre esempi di località che solitamente possono vedere il grande tennis solo da lontano, e che qui si sono trasformate in protagoniste per un weekend.

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Autor: Vanni Gibertini