Thiem, l’uomo che sfidò gli dei

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Quel momento. Il momento preciso in cui Dominic Thiem ripone in una teca, la sua ultima racchetta, compagna di viaggio di una parte, intensa e bellissima della sua vita. E lo fa nel posto in cui tutto è cominciato, lo fa in quella che è casa sua, accanto alle persone che lo hanno reso il tennista che è stato, l’uomo che è.

Un tennista che è andato oltre se stesso e quelli che erano i limiti del mondo degli umani, per andare a sfidare gli dei, battendoli. Ha alzato la testa, guardandogli negli occhi e guidando una generazione (o forse più) schiacciata dallo strapotere di quei 3+1 che hanno monopolizzato 20 anni di tennis, soffocando ogni alternativa, rendendo relativo ogni talento. Non però quello di Thiem, che stilisticamente ha voluto sfidare il maestro del rovescio ad una mano, battendolo in quella che è stata la sua unica vittoria in un 1000, ad Indian Wells, in finale con Re Roger.

Ha vinto uno Slam, nel 2020, in una New York chiusa ancora nel lock down pandemico, ma che con l’austriaco ha trovato la luce della novità, battendo in un’epica finale il grande amico/rivale Zverev e chiudendo un cerchio che era stato aperto nel 2006 quando su quel campo vinse il suo unico Slam un altro che in quegli anni avrebbe potuto vincere di più, anche lui pronto a sfidare gli dei: un certo Martin Del Potro.

Finisce con una sconfitta per mano di Luciano Darderi e finisce nel modo peggiore o migliore che possa esserci in questi casi, una sconfitta che è indolore perché libera Domi da tutto ciò che non poteva più essere: un ricordo di bellezza.
La sua bellezza resterà e con esso il coraggio di osare l’impossibile, umanizzando gli dei.

Carlo Galati

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Autor: Carlo Galati